Mercoledì - VIII Tempo Ordinario

Letture: Sir 361.4-5.10-17 / Sal 78 / Mc 10,32-45


PIETÀ



Il tempo ordinario si è avviato con un preciso e quasi inopportuno invito alla conversione: «Quanto è grande la misericordia del Signore, il suo perdono per quanti si convertono a lui!» (Sir 17,24, liturgia di lunedì). Compiuti i riti e le speranze del tempo pasquale, siamo chiamati dalle Scritture sante a verificare se l’amore che si è mostrato a noi nella morte e risurrezione di Gesù Cristo ha lasciato tristezza nel cuore (cf Mc 10,22!) oppure ha suscitato di nuovo «la gioia di essere salvati» (Sal 50,14). Il mistero della Pasqua infatti potrebbe aver alimentato la cattiva abitudine di offrire doni a Dio per «corromperlo» (Sir 35,11) oppure aver riacceso il desiderio di lasciare «tutto» (Mc 10,28) a causa di Cristo e «a causa del vangelo» (Mc 10,29).


Per sciogliere questi dubbi, non sarebbe una cattiva idea scrutare con sincerità la nostra preghiera quotidiana, per vedere se assomiglia alla bella invocazione che oggi leggiamo nel libro del Siracide: «Abbi pietà» (Sir 36,1.11.12). Una domanda opportuna, conveniente e umile, che nelle parole del salmista acquista tonalità poetiche: «Presto ci venga incontro la tua misericordia» (Sal 78,8).


Ciascuno di noi ha bisogno di questa unzione d’amore, che è salvezza del nostro volto, riempimento dei vuoti che ci portiamo dentro. Ne ha bisogno l’universo che accoglie il mistero della creazione, le nazioni che ci circondano, tutti «quanti abitano sulla terra» (Sir 36,17). Perché la vita e la felicità naufragano anche dentro il recinto delle nostre migliori intenzioni e questo ci rende sempre «troppo infelici» (Salmo responsoriale).


Questa irrinunciabile preghiera si espone tuttavia ad una forte ambiguità, come ci informa la cronaca trasparente del Vangelo. Proprio quando Gesù cerca di annunciare il modo efficace e debole con cui intende avere pietà di noi, due discepoli confessano il desiderio di una gloria ancora segnata dall’egoismo e dalla vanità: «Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo... Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra» (Mc 10,35.37). C’è un modo di chiedere la salvezza e la misericordia che mira ancora ad ottenere da Dio una posizione di prestigio, un seggio glorioso nel piano della sua volontà. Questo egocentrismo religioso non riesce a comprendere il modo con cui la pietà di Dio si manifesta, rimane sordo di fronte ad un Cristo che ci salva diventando come noi, facendosi del tutto simile a noi uomini «votati alla morte» (Salmo responsoriale).


Dalla risposta di Gesù capiamo che la gloria dell’amore – la pietà – è qualcosa che viviamo non come e non dove abbiamo premeditato di poterlo fare, ma dove ci accade, a partire dalla storia, con i suoi tempi regolari e i suoi imprevisti: «Sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato» (Mc 10,40). Quella pietà che chiediamo a Dio e attendiamo dagli altri è un dono che riceviamo nella misura in cui siamo disposti a restituirlo prontamente a chi ci sta accanto, vivendo la grandezza del servizio verso «tutti» (Mc 10,44). Esattamente come ha fatto il Figlio dell’uomo, il quale «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45).



Commenti

Anonimo ha detto…
Questo desiderio di infinito che i due discepoli esprimono a Gesù in persona, a mio parere nasce da una enorme tristezza di non voler staccarsi da Lui. Ed è proprio cosi, perchè quando incontri un FATTO ECCEZIONALE CHE CORRISPONDE AL DESIDERIO DEL TUO CUORE, non vuoi staccarti più, desideri di rimanere PER SEMPRE CON LUI chiedendo quasi di essere privilegiata. La relatà terrena è arida, aggressiva, e non ci basta vivere di spiritualità interiore ma abbiamo bisogno di rendere vivo questo Cristo fatto carne abitante in mezzo a noi qui ora