Festa della Visitazione

Letture: Sof 3,14-18 / Ct passim / Lc 1,39-56


LA PORTA DEGLI OCCHI




Il calendario liturgico ci fa concludere il mese di maggio, tradizionalmente dedicato alla Vergine Maria, con la festa della Visitazione, il primo gesto missionario che la Madre di Dio compie dopo aver accolto l’annuncio del Vangelo. Le Scritture scelte per questa festa sono tutte pervase da un profumo di lode e di giubilo, che si diffonde prepotentemente nell’animo del discepolo di ogni tempo.


Sembrano però eccessivi i toni gioiosi che la Parola di Dio assume, adottando con disinvoltura la forma vincolante dell’imperativo: «Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!» (Sof 3,14). E se non avessimo voglia di esplodere di allegria? Come potremmo coinvolgerci in questa liturgia di festa, che oggi la Chiesa ci propone di celebrare? Quale fu il segreto di Maria? In che modo fu capace di lasciar entrare nella sua vita questo torrente di divina esultanza? Come poté questa immensa felicità fare breccia nel cuore di una donna qualsiasi, trasformando la sua carne nel santuario del Dio vivente? Qual fu il segreto della visitazione di Dio e di Maria?


In genere quando sentiamo parlare «di gioia» (Lc 1,44) e di «giorni di festa» (Sof 3,18) siamo immediatamente portati a pensare almeno due cose: che si tratta di un argomento scomodo e che la nostra interiorità è così complessa e ferita che forse ci conviene desiderare qualcosa di più piccolo. La prima obiezione si fonda sul carattere irregolare che la gioia presenta come esperienza non sempre accessibile e duratura. La seconda invece sulla convinzione che questo sentimento sia una specie di mistero che nasce nel fondo oscuro di noi stessi, quel centro che siamo soliti chiamare ‘cuore’, ‘anima’ o ‘spirito’.


Il cantico della Beata Vergine, che domina la pagina evangelica di oggi, ci suggerisce un modo per non smettere di sperare nella gioia e nella sua capacità di trasformare la nostra vita e la nostra storia. La giovane Maria, dopo essere stata visitata dalla «potenza dell’Altissimo» (Lc 1,35), si precipita (cf Lc 1,39) a visitare Elisabetta con il cuore in festa: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc 1,46-47). Subito precisa il motivo di tutta questa felicità: «Perché ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,47).


Ecco il tesoro nascosto: gli occhi di Dio! Maria si è scoperta guardata con amore delicato e forte dal Signore Onnipotente, colui che è capace di fare «grandi cose» perché il suo nome è «Santo» (Lc 1,49). E in questo sguardo si è sentita conosciuta e consolata, immersa in un oceano di «misericordia» che si stende sull’umanità «di generazione in generazione» (Lc 1,50). Gli occhi sono un organo potente e debole. Si muovono appena eppure lasciano entrare l’altro dentro di noi. Ci permettono di uscire da noi stessi ed entrare in chi ci sta davanti. Gli occhi sono la porta dell’anima.


Siamo così preoccupati di quello che proviamo e non proviamo, talmente schiavi dei sentimenti e dei giudizi vani di cui è pieno il mondo che ci dimentichiamo questa gioia possibile e vera: lasciarci guardare da Dio e poi vivere di questo suo sguardo. Davanti al suo amore ritrovare il nostro nome e la nostra identità. E poi tornare alle cose di ogni giorno, alla scrivanie e alle strade, ai volti vicini e lontani che attendono la nostra visita, il nostro riconoscimento, i nostri occhi.


Commenti

Anonimo ha detto…
Come vorrei in questo momento della mia vita riuscire ad affidarmi completamente al Signore, mettermi in ginocchio davanti alla croce e sentirmi amata e serena nonostante le angoscie e le preoccupazioni..Sicuramente le tue parole mi aiuteranno a farlo giorno per giorno perchè nel mio "cuore" so che è l'unica vera medicina della vita. Grazie!
Anonimo ha detto…
Grazie, Signore, per il dono dello sguardo che, interiormente purificato e illuminato dalla luce dell'eterna verità, si sofferma liberamente a contemplare ciò che Tu puoi e desideri fare per me piuttosto che su quello che penso di saper fare io per Te.
Questo mi regala la gioia del canto, che è per Te. Finché avrò vita.
chiara 2