Domenica di PASQUA (Messa Vespertina)

Letture: At 1,1-8 / Sal 117 / 1Cor 15,3-10 / Lc 24,13-35

FINO... AD ARDERE!

Finalmente è Pasqua, la Pasqua del Signore! I quaranta giorni della Quaresima sono stati un tempo prezioso, nel quale ci siamo esercitati a cambiare mentalità, a rientrare un po’ in noi stessi, a preoccuparci del nostro ‘dentro’ anziché del nostro ‘fuori’, per riconoscere con sincerità il nostro bisogno di gioia, di vita e di amore. Ora inizia il tempo sacro della Pasqua, uno spazio di cinquanta giorni che culmina nella solennità di Pentecoste, nel quale celebreremo il dono dello Spirito Santo fatto alla chiesa e ad ogni uomo. I Padri della chiesa chiamavano questo tempo il laetissimum spatium, un spazio di felicità, come un unico grande giorno durante il quale i cristiani neofiti, battezzati nella notte di Pasqua, venivano introdotti attraverso le cosiddette catechesi mistagogiche nel mistero della vita nuova in Cristo.


La festa di Pasqua ci introduce in un tempo davvero speciale, nel quale ci è donata una nuova occasione di scoprire le profondità del dono d’amore ricevuto nella morte e nella risurrezione di Gesù. La Pasqua è una scintilla che vuole riaccendere il motore sonnecchiante del nostro Battesimo, una scintilla capace di accendere un fuoco di luce e di amore che può trasformare tutta la nostra vita. Proprio di una scintilla ci parla il Vangelo vespertino di Pasqua, una scintilla che entra nel cuore di due discepoli che si allontanano tristi da Gerusalemme nel tempo esatto in cui la gioia del Risorto comincia a diffondersi nel mondo e nella storia.


Il racconto di Emmaus, che ha ispirato artisti e poeti di ogni tempo, ci ricorda una cosa semplice, che conosciamo bene. A noi, cristiani della generazione successiva alla prima, non è regalata la visione del Signore risorto, ma la possibilità di riconoscerlo e di scoprire la sua presenza accanto a noi. Non si tratta di un piccolo regalo, perché se non sono soddisfatti i nostri occhi nel loro desiderio di vedere il volto del Signore, è concesso al nostro cuore il dono straordinario di poter ardere di gioia e di speranza nella comunione con Dio e con la sua stessa vita. Ardere è senza dubbio meglio che vedere! È un’esperienza piena, che da dentro si diffonde in tutta la nostra persona e muove la nostra volontà.


Alla sera della prima Pasqua cristiana della storia, due discepoli si allontanano lenti e sfiduciati da Gerusalemme, «e conversavano di tutto quello che era accaduto» (Lc 24,14). Uno dei due si chiama Clèopa, l’altro non ha nome nel racconto, lascia uno spazio vuoto al lettore discepolo che lo può occupare con il suo nome. Anche noi infatti spesso ce ne torniamo un po’ giù di corda dalla chiesa, dai momenti di preghiera, da un tempo di Quaresima e magari anche da un giorno di Pasqua. Siamo cristiani da tanto tempo, ma molte volte il nostro cuore è agitato da tante preoccupazioni e pensieri, che offuscano la parola che Dio ci rivolge.


Il Signore Gesù si avvicina a questa tristezza in cammino, con molta discrezione: «si accostò e camminava con loro» (Lc 24,15). Ma, annota Luca, gli occhi dei discepoli «erano incapaci di riconoscerlo» (Lc 24,16). Il Signore è risorto, cammina accanto a noi, percorre i sentieri della nostra vita, ma i nostri occhi non riescono a vederlo. Che grande mistero! Come assomiglia alla nostra esperienza! Viviamo accanto al Signore, facciamo parte della sua Chiesa, eppure... i nostri occhi si fermano in superficie: non riconoscono il volto radioso del Risorto!


Gesù allora prova ad entrare dentro la tristezza dei discepoli: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Perché quelle facce da funerale? Il Risorto non si manifesta con qualche luminescenza che obbligherebbe i discepoli ad inchinarsi e ad adorarlo, ma sceglie di entrare dentro il loro cuore.


«Noi speravamo che fosse lui...» (Lc 24,21). Molto sinceri e diretti, forse più di noi: i due discepoli buttano fuori la loro delusione di essere cristiani! Speravano in un Cristo diverso, più forte, più efficace, più risolutivo. E invece è salito sulla croce, morendo come tutti gli altri profeti, come tutti i poveri cristi della storia. Che delusione! La croce ha ucciso le loro speranze, ha infranto i loro progetti. I due discepoli non si stanno allontanando solo da Gerusalemme, ma anche da quel cammino di fede che non li ha condotti là dove loro immaginavano. Questa terribile forza centrifuga è dentro la Chiesa, è esperienza del discepolo di ogni tempo: si chiama scandalo della croce. Per il discepolo la croce non ha nulla di buono, «non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi» (Is 53,2), anzi è orribile «spettacolo» (Lc 23,48). Per Gesù invece la crocifissione è stata l’ora suprema per manifestare il suo amore! Dovremmo anche noi tirare fuori questo rospo, confessare che in fondo al cuore vorremmo una risurrezione senza croce, un Dio che ci evita la sofferenza, che ci risparmia il dolore. Noi vorremmo che a Pasqua Dio ci dicesse: scusa mi sogno sbagliato, ora aggiusto la tua vita di qua e di là, metto a posto le cose che ti fanno stare male...


Invece Dio fa un altra cosa: «Stolti e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?» (Lc 24,26). Ci annuncia che bisogna affrontare il male, non evitarlo. È una necessità, perché altrimenti il male non si estingue ma continua a circolare. Solo il perdono fa proseguire il corso della vita e edifica il mondo nella verità. La scelta di Dio è esattamente questa: il coraggio di amare sempre «sino alla fine» (Gv 13,1), oltrepassando il muro invalicabile del rifiuto e della sofferenza. Per Gesù la croce è già Vangelo, non un incidente di percorso rimediato con il lieto fine della risurrezione.


Mentre ascoltano questa catechesi i discepoli sentono ardere «il cuore nel petto» (Lc 24,32), perché si accorgono che i loro occhi guardavano nella direzione sbagliata. La via della vita torna davanti a loro come strada aperta, come possibilità pienamente accessibile. Cominciano a risorgere dentro, nel profondo della loro libertà. La tristezza si allontana.


Così fa il Risorto. Così noi lo incontriamo. Ascoltando la sua Parola che ci fa ardere il cuore, perché ci fa capire che amando fino alla fine si diventa se stessi e si cambia la storia, che solo la via della croce che conduce alla risurrezione!


Allora si torna indietro. A Gerusalemme. A casa. Con il cuore cambiato. Con una nuova fiducia nella vita. Sì, Pasqua è avere un cuore che arde, perché il Signore ormai risorge dentro di noi. Il tempo delle apparizione è ormai abbondantemente concluso. Tocca a noi risollevare i cuori e incendiare la storia di amore e di testimonianza. Siamo stati amati tantissimo: Dio ha dato la sua vita per noi. In qualsiasi cosa che faremo si potrà vedere o nascondere questo mistero di gioia e di salvezza.


Il nostro globo terrestre si sta surriscaldando. Gli esperti dicono che tra cinquant’anni dovremo rifugiarci in celle frigorifere per resistere alle alte temperature. Diversamente i nostri cuori, in questa società stordita e frenetica, si stanno raffreddando. Gelo e indifferenza serpeggiano in ogni ambiente. Abbiamo un estremo bisogno di far entrare scintille di risurrezione nella nostra interiorità. Abbiamo bisogno di un rinnovato vigore per appassionarci alla nostra vita e avere il coraggio di spenderla fino in fondo per amore. Questo è il modo di camminare nella direzione della risurrezione, il destino vero e bello che attende l’umanità amata da Dio.



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