Venerdì della V settimana - Tempo di Quaresima

Letture: Ger 20,10-13 / Sal 17 / Gv 10,31-42

TERRORE E BESTEMMIA

Quando valutiamo il tenore della nostra vita spirituale, può capitarci di scorgere una notevole distanza tra il debole vigore della nostra fede e la testimonianza dei santi e dei profeti. Geremia, avvertendo «terrore all’intorno» (Ger 20,10), a causa della scomoda profezia di cui si è fatto portavoce, non smarrisce la fiducia nel Dio che lo ha mandato per «sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare» (Ger 1,10): «Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso» (Ger 20,11). Il profeta mantiene accesa la fiamma della preghiera proprio nell’ora in cui il suo cuore è avvolto dalle tenebre dell’inimicizia: «Signore degli eserciti... a te ho affidato la mia causa!» (Ger 20,12). Anche Gesù, davanti ai Giudei che portano «di nuovo delle pietre per lapidarlo» (Gv 10,31), percorre la strada del dialogo (cf Gv 10,32-38) e proclama senza esitazioni il suo fortissimo legame con il Padre: «sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre» (Gv 10,38).


Parole come queste non si improvvisano nel momento del pericolo, quando l’angoscia dentro di noi cresce in maniera proporzionale all’ostilità che circonda la nostra vita, i nostri desideri i nostri progetti. Sono il frutto di un cammino di fiducia, gli ultimi versi di un poema composto nella notte e nel silenzio. Dentro queste parole possiamo rintracciare non tanto l’eccellente esemplarità, quanto l’inquietante rivelazione: Dio non salva dal terrore! Né il profeta, né il Figlio di Dio sono sottratti al loro cammino di prova e di sofferenza. Al contrario il momento della persecuzione diventa l’occasione di estrarre dal cuore le parole dell’affidamento a Dio. In questo modo il terrore non è tolto, ma convertito.


Convertirsi, rinunciare a se stessi, perdere la propria vita, significa saper trasformare i nostri peggiori sentimenti. Essere disponibili, proprio nell’ora dell’angoscia, a rinunciare ai propri diritti e alle proprie – legittime – aspettative di vita e di salvezza. Accontentarsi invece di poter fare una sola cosa: celebrare nell’oscurità l’alleanza con il Dio conosciuto nei giorni di luce, convertire cioè il terrore in speranza.


Forse lo dimentichiamo. Oppure ci siamo abituati. Ma nel cuore della nostra fede riposa una vera e propria «bestemmia» (Gv 10,33): il mistero di un Dio che ha scelto di condividere «in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana» (preghiera eucaristica IV). L’avvenimento dell’Incarnazione ci trova sempre impreparati e sdegnati, perché è estremo scandalo per il nostro buon senso e follia per i nostri buoni sentimenti. Dio di fronte al terrore presente nella vita umana non fa nulla se non condividerlo con noi! È un movimento di abbassamento che fatichiamo ad accogliere e comprendere. Come i Giudei crediamo di assistere ad un impossibile movimento dal basso verso l’alto, a cui dobbiamo con fatica partecipare: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» (Gv 10,33). Gesù però non dice di voler diventare Dio, proclama di esserlo: «Sono Figlio di Dio» (Gv 10,36). Per questa nostra comprensione al contrario ci ritroviamo spesso a sottovalutare le energie nascoste che nel Battesimo ci sono state infuse per grazia. E crediamo di dover salire verso Dio con le nostre forze, anziché aggrapparci a lui che «come un prode valoroso» è al nostro fianco (Ger 20,10) per farci essere insieme a lui «nel Padre» (Gv 10,38).


Quando ci arrenderemo a questa Buona Notizia?



Commenti

Anonimo ha detto…
La condizione che deve essere soddisfatta affinché la mia fede non abbia un così “debole vigore” (vedi invece Ger 20, 9 “nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa”) è che valga anche per me quanto dice Geremia “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre” (Ger 20, 7). Dove “sedurre” significa “condurre a sè”.
Se non è lecito dubitare dell’ azione di Dio verso di me, è certo di contro che io non “mi sono lasciato sedurre” del tutto. Ciò perché il veleno del serpente non mi permette di affermare “Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso.” (Is 50, 7). E’ perché non mi fido del tutto di Dio. Non mi abbandono a Lui. Quella che ripongo in Dio è una fiducia parziale; contemporaneamente cerco di trovare una soluzione personale (che prescinde da Dio), dalla quale mi provenga la salvezza. Questo è un atteggiamento da empio, il quale “si illude con se stesso nel ricercare la sua colpa e detestarla” (Sal 35, 3). Non potrò mai riuscire da solo a “convertire il terrore in speranza”. Signore, "Aumenta la nostra fede!" (Lc 17, 6).

Michele