Giovedì della V settimana - Tempo di Quaresima

Letture: Gen 17,3-9 / Sal 104 / Gv 8,51-59


RIDERE



Talvolta è segno di superficialità. Molto spesso denuncia un animo frivolo e puerile. Altre volte invece ridere è la migliore espressione di saggezza che può scaturire dall’uomo che percorre fino in fondo il sentiero della vita.


«Abram» (Gen 17,3), l’antico patriarca è un uomo capace di ridere (cf Gen 17,17) perché non dimentica di essere un ̉adam, cioè un terrestre, abbraccio di polvere e Spirito. La Scrittura racconta che proprio quando «Abram si prostrò con il viso a terra Dio parlò con lui» (Gen 17,3). Dall’alto dei suoi cent’anni, trova conveniente ridere anziché obiettare. Questo sorriso non modifica soltanto le rughe del suo volto, ma gli conferisce un nome nuovo. Si chiamerà d’ora in poi Abramo, padre di una moltitudine. In quel suo sorriso profondo e ingenuo, strappato a lui dal cielo in età ormai avanzata, c’è il sorriso di Dio, la sua «alleanza perenne», la sua benedizione «di generazione in generazione» (Gen 17,7).


C’è addirittura «il giorno» di Cristo, il mistero della sua risurrezione dai morti. È lo stesso Gesù a proclamare questo affascinante mistero nel Vangelo di oggi: «Abramo esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò» (Gv 8,56).

Abramo vide il giorno di Cristo quando si curvò fino a terra per ascoltare il sorriso di Dio. Perché allora udì la parola del Vivente: «Eccomi; la mia alleanza è con te» (Gen 17,4). Abramo non fece domande, non oppose rifiuti, non si nascose. Abramo «ebbe fede sperando contro ogni speranza» (Rm 4,18). Lo fece con il volto dipinto di gioia, brindando all’ironia amorevole di un Dio che non ha paura di lasciar avvizzire un ventre prima di fecondarlo «per sempre» con la sua benedizione fedele (cf salmo responsoriale).


Anche noi possiamo vedere il giorno di Cristo rimanendo nell’ascolto fedele e amorevole della sua «parola» (Gv 8,51). Essere discepoli significa maturare ogni giorno uno sguardo capace di «non vedere mai la morte» (Gv 8,51), ma di vedere sempre oltre la morte il sorriso di Dio, la sua gioia e le sue promesse fedeli. In questo caso il sorriso è la manifestazione più religiosa che possiamo regalare a Dio. Qualche volta ridere è l’unico modo per esprimere la fiducia nel Dio che «è capace di far risorgere dai morti» (Eb 11,19). Soprattutto quando l’atteggiamento contrario sarebbe il pianto o la disperazione. L’uomo che ascolta la parola di Dio è l’uomo che riconosce il momento in cui ridere è legittimo e sacro. Infatti ridere può essere il frutto mite della speranza e dell’attesa, il canto che celebra la gioia di aver ormai compreso che «Dio ricorda sempre la sua alleanza» (salmo responsoriale).


Dentro il nostro sorriso può davvero dimorare il sorriso di Dio, che è «prima» (Gv 8,58) di Abramo e di ogni vicenda umana, quel sorriso con cui il Padre regala al Figlio il suo Amore e a noi la possibilità di vivere senza «conoscere mai la morte» (Gv 8,52).


In quel sorriso noi scopriamo di essere figli amati, voluti, scelti da sempre.


Commenti