IL CUORE LONTANO

Martedì – V settimana del Tempo Ordinario

Proprio quando è venuto il momento tanto atteso di dedicare il tempio di Gerusalemme al Dio di Israele, dopo la gioia della progettazione e la fatica della costruzione, il re Salomone, raccolto in preghiera di fronte a tutto il popolo, sembra vivere un momento di grande lucidità. Uno di quei momenti nei quali le parole riescono a trovare i contorni più esatti della realtà, lontano da illusioni e delusioni. 

«Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? 
Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, 
tanto meno questa casa che io ho costruito» (1Re 8,27-28)

Nella circostanza in cui si può finalmente consegnare le chiavi del santuario al Dio del cielo, Salomone sembra attraversato da una certa esitazione. Non si tratta di parole di circostanza — con le quali, spesso, ci mostriamo umili solo per non doverci coinvolgere — ma di sincero riconoscimento di quanto il rapporto tra Dio e l’uomo non può che restare asimmetrico, pur essendo libero. Salomone si rende conto che le nostre mani possono solo preparare la strada, ma non certo contenere il mistero della vita — e della vitalità — del Signore di tutte le cose. Per questo la sua preghiera si conclude con parole umili, che potrebbero essere anticipazione di quelle con cui Gesù insegnerà ai suoi discepoli a pregare il Padre.

«Ascolta nel luogo della tua dimora, in cielo; 
ascolta e perdona!» (8,30)

Assai diversa la richiesta che scaturisce dal cuore di scribi e farisei venuti proprio da Gerusalemme. Il tempio che essi sono soliti frequentare e il culto che in essi amano praticare hanno cessato di essere una palestra di umiltà e verità. Il loro cuore si è affezionato alle pratiche religiose, più che al fine a cui dovevano tendere: l’amore verso Dio e verso i fratelli. Per questo cadono velocemente nella trappola del giudizio. 

«Perché i tuoi discepoli non si comportano 
secondo la tradizione degli antichi, 
ma prendono cibo con mani impure?» (Mc 7,5)

Dietro alla difesa dalla pratica della legge e dei suoi innumerevoli precetti, si nasconde il tentativo di giustificare il proprio egoismo. Perché è sempre più facile compiere un gesto di ostentazione (per gli altri) e di rassicurazione (per se stessi), piuttosto che avventurarsi nel rischio della relazione con l’altro. Che, puntualmente, ci chiede di morire (a noi stessi) e di sciupare un po’ di quello che siamo e abbiamo, affinché l’altro smetta di sentirsi giudicato o, semplicemente, solo. È più facile fingere di vivere a partire dal cuore, piuttosto che ammettere che esso è finito lontano. Da Dio. Quindi anche da noi stessi.

«Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: 
“Questo popolo mi onora con le labbra, 
ma il suo cuore è lontano da me» (7,6-8)

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