UNA CASA

Ferie prenatalizie – 24 dicembre
Alla fine di questi giorni di Avvento, nei quali ancora una volta ci siamo preparati alla venuta del Signore, veniamo sollecitati dalla liturgia a concludere i preparativi per disporci a gustare la gioia del Natale. L’esperienza di Zaccaria, che resta ammutolito di fronte alla novità di Dio e al fragore delle sue promesse, è, in fondo, quanto doveva accadere anche a noi in questi giorni. L’abitudine della fede ha bisogno sempre di ritrovare lo stupore e l’esultanza per le impossibili opere di Dio, che nell’incarnazione del Verbo rivelano la loro — folle — misura d’amore per noi. 

In quel tempo, Zaccarìa, padre di Giovanni, fu colmato di Spirito Santo 
e profetò dicendo: «Benedetto il Signore, Dio d’Israele [...]» (Lc 1,67-68)

Il compito dell’Avvento non era altro che questo: svuotare il nostro spirito da tutti gli accumuli di paura, tristezza e accidia e ricolmarlo della santità di Dio, della sua forza e della sua speranza. Ammutolire il nostro parlare stanco e rassegnato, per farci diventare profeti capaci di annunciare la tenerezza e le misericordia del nostro Dio, secondo la grazia ricevuta in dono nel battesimo.

«[...] e ha suscitato per noi un Salvatore potente 
nella casa di Davide, suo servo
[...] salvezza dai nostri nemici, 
e dalle mani di quanti ci odiano» (1,69.71)

Nella disadorna mangiatoia di Betlemme, questa notte, saremo chiamati a contemplare di nuovo il mistero di questa salvezza potente, con cui Dio ha saputo liberarci dai nemici e dalle mani che avversano il nostro vivere quotidiano. Lo scambio di battute tra il re Davide e il profeta Natan ci offre una prospettiva singolare da cui inquadrare questo dono di salvezza. 

Così dice il Signore: «Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti?
[...] Il Signore ti annuncia che farà a te una casa» (2Sam 7,5.11)

La smentita di Natan al progetto del re, che voleva costruire una casa al Signore è l’ultima tessera del puzzle di Avvento. Sebbene la festa del Natale diventi, settimana dopo settimana, una serie di crescenti e frenetici preparativi, per far diventate le nostre case, le nostre mani e i nostri cuori capaci di dono, alla fine bisogna solo fermarsi e contemplare l’iniziativa di un Dio che è venuto a prepararci una casa. L’umanità del Verbo incarnato è la casa dove finalmente noi possiamo imparare a vivere. Ma è anche figura della nostra umanità, la casa da cui possiamo smettere di fuggire. Dalla culla alla croce, i panni della nostra vita non vanno più smessi. Ma indossati con umile e incrollabile fierezza. Come un «trono stabile per sempre» (2Sam 7,16).

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