SENZA AFFANNARSI

Mercoledì – II settimana di Avvento
Talvolta il nostro dolore ci sembra così grande e invincibile, che perdiamo di vista il contesto in cui il mistero della nostra vita è continuamente generata e accolta. Prendiamo così sul serio le ansie e le sofferenze che — come tutti e insieme a tutti — siamo chiamati a sperimentare, da sentirci quasi autorizzati a essere un po’ depressi e — perché no? — anche un po’ giustificati a compiere e a restituire un po’ del male che sentiamo. Ci dimentichiamo che la nostra afflizione, anche quando è grande, resta piccola, perché è parte di un tutto a cui partecipiamo: la vita degli altri, il creato, la storia. Il Signore conosce questo lato umbratile del nostro cuore e, con amore, lo svela e lo salva. 

«Perché dici, Giacobbe, e tu, Israele, ripeti: “La mia via è nascosta al Signore 
e il mio diritto è trascurato dal mio Dio?” Non lo sai forse? Non l’hai udito? 
Dio eterno è il Signore, che ha creato i confini della terra» (Is 40,27-28)

La sofferenza va distinta dal male. Non sempre alla radice di un dolore c’è un male, il quale è sempre invece all’origine di ogni sofferenza, patita o impartita. Il Signore Gesù non è venuto a togliere la sofferenza, ma a vincere il male, indicandoci l’unica strada attraverso cui esso è neutralizzato: la condivisione fino alla compassione, l’amore fino al perdono. Solo il male non restituito — e non “celebrato” come libertà di ferire  — perde il suo veleno e smette di isolarci. Ecco perché si può uscire dalla pesantezza del vivere semplicemente accogliendo l’invito a uscire da quei velenosi isolamenti in cui, così spesso, amiamo concepirci e restare.

«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, 
che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,28-29)

È una provocazione forte quella che ci sorprende oggi, a metà del viaggio di Avvento. Ci colpisce e ci affonda nella più incrollabile delle persuasioni: quella di essere almeno capaci di non scegliere la strada più faticosa, di non essere così stolti da portare sulle spalle più pesi del necessario. Se siamo disposti a essere sinceri, parla proprio a noi il profeta. Noi che corriamo ancora troppo e ci affanniamo. Noi che finiamo le nostre giornate spossati, non perché la vita abbia davvero un peso insostenibile. Ma perché dimentichiamo quanto Dio sia veramente nostro compagno di viaggio. Colui che rende dolce il giogo della realtà che insieme portiamo. 

«Quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile,
corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,31)

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