COME UN FIUME

Venerdì – II settimana di Avvento
Le generazioni umane — sì, pure la nostra — stanno davanti a Dio con un fondamentale problema: non essere mai contente del “menu del giorno”, di “quello che passa il convento”. Siamo come bambini che dopo un po’ si stufano di giocare, che non sanno sinceramente piangere quando è il momento della tristezza, e non sono capaci di abbandonarsi all’allegria quando la vita regala un po’ di sana gioia. 

«A chi posso paragonare questa generazione?
È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano:
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto”» (Mt 11,16-17)

Dietro questo capriccioso atteggiamento, in realtà, si nasconde una contestazione nei confronti del Signore e del suo modo di guidare la storia. Non è il suo starci col fiato sul collo ciò che ci crea ansia, né la sua scarsa attitudine a esaudire ogni nostro desiderio a turbarci. È il suo trattarci da persone a cui è stato accordato il dono e il peso della libertà a renderci spesso insofferenti. Perché la libertà comporta come naturale conseguenza l’obbligo di essere disposti a imparare dove e come la vita può ancora modificarsi ed espandersi. 

«Io sono il Signore, tuo Dio, che ti insegno per il tuo bene,
che ti guido per la strada su cui devi andare» (Is 48,17)

Alla radice di tutti i nostri capricci c’è una certa insofferenza nei confronti di Dio, un Padre che vuole insegnarci a camminare nei sentieri della storia, rinunciando a ogni forzata imposizione e a ogni facile compassione nei nostri confronti. Il nostro problema di (ogni) avvento del Signore è, in ultima analisi, il radicale rifiuto della scelta di Incarnazione. Perché se fosse per noi, volentieri faremmo a meno di tutti i limiti imposti dalla nostra creaturalità.

«È venuto Giovanni, che non mangia e non beve, e dicono: “È indemoniato”. 
È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono:
“Ecco, è un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”. 
Ma la sapienza è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie» (Mt 11,18-19)

Imparare, crescere, non abdicare il privilegio e il compito della libertà, significa abbandonare quello spirito infantile che ci spinge sempre a guardare con profondo sospetto ogni cambiamento che si profila all’orizzonte. I bambini sono meravigliosi, leggeri, ricettivi, ma anche profondamente ostili a ogni proposta che rischia di destabilizzare il mondo di sogni e illusioni nel quale si sentono così protetti. Per attendere la venuta del Signore, occorre fare attenzione a tutti quei segnali che invocano la nostra disponibilità al movimento e alla smobilitazione. 

«Se avessi prestato attenzione ai miei comandi, il tuo benessere sarebbe come un fiume,
la tua giustizia come le onde del mare» (Is 48,18)

Se vogliamo trovare nella realtà un motivo per non essere contenti o un pretesto per risparmiarci, anche oggi avremo la strada spianata. Di circostanze (apparentemente) sfavorevoli sono pieni i giorni, anzi i minuti. Se, però, crediamo che il Signore e il suo regno siano vicini, prossimi a venire, anche oggi avremo infinite occasioni per imparare a riconoscere se occorre danzare o fare lutto, lodare o intercedere. E scoprire il benessere del fiume. Che scorre, in pace. Danzando di gioia e di gratitudine.

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