TUTTO IN TUTTI

Mercoledì – XXIII settimana del Tempo Ordinario
Se camminiamo ben radicati nel Signore Gesù si dischiude per tutti noi, battezzati nel suo nome, la possibilità di vivere la sua stessa vita. Nel momento in cui le nostre radici cominciano a essere profondamente inserite nella logica del vangelo possiamo, finalmente, tendere verso l’alto, come fanno tutte le cose che nascono dalla terra. 

«Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio;
rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3,1-2)

In natura, questo processo avviene spontaneamente, senza alcun clamore. Per noi, invece, entrare in un dinamismo verticale di autentica maturazione comporta il trauma di una scelta mai scontata. Risorgere con Cristo è una tale trasformazione della nostra umanità che non può mai ridursi a una condotta che contiene i danni, evitando il peggio e il male. L’inserimento della nostra libertà nel mistero pasquale ci spinge a poter scegliere il bene fino al punto da dover esercitare una santa — quotidiana — violenza contro tutto ciò che ostacola il suo corso. 

«Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: 
impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria» (3,5)

Le conseguenze dell’assumere o abdicare un simile combattimento non sembrano affatto irrilevanti, sembra proclamare il Signore Gesù nel vangelo di oggi. La versione lucana delle Beatitudini ha toni intensi e drammatici, ci assicura che non è mai la stessa cosa essere felici o finire nei guai, sembrare in forma o esserlo davvero. 

«Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio.
beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati.
beati voi, che ora piangete, perché riderete [...]» (Lc 6,20-21)

Saremo felici oggi se non apparterremo a nessuna delle cose che siamo chiamati a fare o a essere; se le ingiustizie che vedremo in ufficio, in convento, per strada, alla televisione, nel volto dei fratelli che incontriamo sapranno toccarci il cuore, accendendo la fame di un mondo più giusto e fraterno; se staremo accanto a chi è nella sofferenza, senza paura e senza commiserazione. 

«Ma guai a voi, ricchi, perché avere già ricevuto la vostra consolazione. 
Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete, perché sarete nel dolore e piangerete [...]» (6,24-25)

Finiremo invece nei guai se ci identificheremo troppo con quanto ora siamo o abbiamo, se avremo anestetizzato tutti i morsi della fame che ci abita, se sceglieremo di oscurare il canto del dolore. Se, in altre parole, ci faremo abbagliare dall’illusione di poter trovare la nostra vita altrove, e non dove siamo adesso. In quella povertà ormai abitata dall’amore di Cristo, che ormai è — e sporattutto vuole essere — «tutto in tutti» (Col 3,11).

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