EXPO AD 33

Corpus Domini – Anno B
La solennità del Corpo e Sangue di Cristo non viene solo a ricordarci quanta intimità sia offerta e riservata a tutti coloro che celebrano nella fede il suo mistero pasquale. Le letture scelte per quest’anno dichiarano apertamente che il Signore desidera stabilire con noi un’alleanza appassionata e definitiva, dove il corpo conta più della mente, dove nulla è più sprecato ma tutto è santificato nell’amore. 

Sangue
Alle falde del Sinai, il popolo risponde coralmente all’offerta e al compito della Legge dichiarandosi disposto a rimanere di fronte al Dio liberatore con sincera volontà di  corrispondenza: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo!» (Es 24,3). L’impegno proclamato con la voce ha subito bisogno di un sigillo di testimonianza, che ne esprima il valore e ne espliciti il contenuto. Mosè raccoglie il sangue dei sacrifici animali e li sparge metà sull’altare e metà sul popolo riunito. A questo punto, Dio e Israele stanno l’uno di fronte all’altro, pronti a prendere parte alla stessa vita, vincolati da un patto di comunione e di reciproca appartenenza. Si faceva così nei tempi antichi per stabilire un patto. Il simbolo del sangue accompagnava l’impegno formulato con la voce, per dire l’intensità di un alleanza e denunciare subito le possibili conseguenze di un’infedeltà. In questo modo Dio ha insegnato a Israele a costruire buone relazioni: mostrando il sangue come soglia a cui spingere la generosità del cuore, ma indicandola pure come inevitabile conseguenza del coinvolgersi con l’altro. Tutto ciò suscita nel popolo una pronta risposta: «Quanto ha detto il Signore, lo eseguiremo e vi presteremo ascolto» (24,7). Lo strano ordine in cui appaiono i verbi dell’eseguire e dell’ascoltare non è una svista dello scriba, ma una profezia dello Spirito. In ogni vera alleanza, dove ciò che conta è il corpo e il sangue, il fare precede il capire, l’azione viene prima della coscienza. E questa è già la prima grande gioia che la festa di oggi vuole donarci: la verità di quello che siamo e di quello che sono gli altri non sta (tutta) nella nostra mente. Non c’è bisogno di capire — sempre e tutto — per poter amare. Nemmeno per poter essere amati.

Versato
È quanto i discepoli imparano durante l’ultima cena con Gesù, prima e irripetibile solennità del Corpus Domini. Dopo aver offerto ai discepoli il pane come simbolo del suo corpo, il Signore «prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti» (Mc 14,23). Soltanto dopo che il calice è stato da tutti ricevuto e bevuto, ne spiega il senso: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti» (14,24). Funziona proprio così l’amore nel corpo e nel sangue: non a partire dal bisogno di essere capiti, ma dal desiderio di poter raggiungere l’altro nel suo più autentico bisogno. Per questo non è così necessario nemmeno capire per poter ricevere l’amore. Sebbene la scoperta di essere amati non possa che condurre alla riflessione e allo stupore. I primi cristiani, dopo aver compreso che Gesù non era soltanto morto e risorto, ma aveva donato il suo corpo e il suo sangue, non hanno esitato a rileggere le antiche aspersioni come una debole figura della meravigliosa realtà offerta da Dio per sempre: «(Cristo) entrò una volta per sempre nel santuario, non mediante il sangue di capri e di vitelli, ma in virtù del proprio sangue, ottenendo così una redenzione eterna» (Eb 9,12).

Corpo offerto
Il ragionamento dell’autore della lettera agli Ebrei intercetta in modo stupendo le ragioni e la prospettiva della festa odierna: «Se il sangue dei capri e dei vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, i santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di Cristo — il quale, mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio — purificherà la nostra coscienza dalle opere di morte, perché serviamo al Dio vivente?» (Eb 9,13-14). Oltre a dirci fino a che punto Dio si gioca con noi — fino al corpo e al sangue — e quanta libertà ci sia da scoprire in un rapporto con lui e con gli altri di vera alleanza — la libertà di non dover né capire né dover essere capiti — la solennità di oggi ci ricorda anche cosa ci può accadere se ci lasciamo raggiungere in profondità dall’incontro con il Signore, che nell’eucaristia ogni domenica celebriamo. Essere purificati dalle opere di morte significa abbandonare ogni logica e ogni istinto di autoconservazione, per entrare nella libertà di poter servire con tutto ciò che siamo (corpo e sangue) alla vita di Dio e a quella degli altri. Una vera profezia per il nostro mondo, così bello, moderno e produttivo, eppure così ingiusto, ambiguo ed esclusivo. All’EXPO di Milano, in questi mesi, si sta svolgendo una grande manifestazione, il cui tema è — o vorrebbe essere — il cibo, l’alimentazione, la possibilità che la terra diventi sempre più una madre da cui tutti possono attingere il necessario per vivere. In una grande sala è raffigurata la sproporzione tra la piccola quantità di prodotti che in pochi consumiamo e l’enorme quantità che sprechiamo, a svantaggio di una moltitudine che resta affamata e denutrita. È dovere umano e, quindi, anche cristiano fare il possibile perché questa forbice si chiuda al più presto. Impegnarsi in ogni progetto e in ogni opera utile affinché la condivisione della terra e dei suoi frutti vada a vantaggio di tutti e non solo di pochi. Tuttavia, la festa di oggi ci offre una provocazione ancora più grande. Il corpo e il sangue del Signore offerti per ogni uomo e per ogni donna sono uno spreco di amore in cui non c’è — e non può esserci — alcuno spreco. Il Signore si è donato a noi senza riserve e senza ripensamenti, diventando per noi un cibo che ci rende capaci di fare altrettanto. Solo così, forse, il problema della fame del mondo si potrà veramente risolvere. Non quando tutti avranno il cibo necessario. Ma quando tutti saremo necessariamente e liberamente cibo gli uni per gli altri. Non più bocche da sfamare, ma corpi offerti e sangue versato. Per la vita del mondo. Per la gioia di tutti.  

Commenti

Anonimo ha detto…
..."corpi offerti e sangue versato"???! Molta similitudine con la civiltà Maya... Vi ricordo, se ne avete perso memoria che si estinsero...
fra Roberto ha detto…
Molte civiltà praticarono sacrifici umani, non solo nel continente americano, ma anche nel Vicino Oriente antico (anche in Israele). Ma non credo che sia questo il motivo della loro estinzione. Gli ebrei esistono ancora e molte altre civiltà si sono estinte senza aver praticato sacrifici umani.

Qui, comunque, si parlava di sacrifici di amore, di cui il corpo e il sangue sono simboli potenti e luminosi, per chi ha orecchie per intendere...
Anonimo ha detto…
Tu non gradisci il sacrificio; se offro olocausti, tu non li accetti. "Uno spirito contrito è sacrificio a Dio; un cuore contrito e affranto tu, o Dio, non disprezzi". C'è chi ha orecchie per intendere e chi non sa quel che dice...
fra Roberto ha detto…
Esatto: Dio non vuole sacrifici, se non quello del cuore e dell'amore. Proprio per questo siamo liberi di offrire il sacrificio di noi stessi, non come schiavi ma come figli amati. Infatti il salmo prosegue (appena un versetto dopo) con queste parole: "Allora gradirai i sacrifici legittimi, l'olocausto e l'intera oblazione; allora immoleranno vittime sopra il suo altare" (Sal 50,21). Così i primi cristiani hanno compreso e trasfigurato l'insegnamento sui sacrifici del Primo Testamento: «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rm 12,1). Sempre per chi ha orecchie per intendere.