ESSERE AMATI

Lunedì – V settimana del Tempo di Pasqua
È abbastanza straordinaria la nostra capacità di cogliere il margine anziché il centro di un discorso. Soprattutto quando è Dio a parlarci. Davanti alle meravigliose promesse di Gesù:

«Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, 
questi è colui che mi ama.
Chi ama me sarà amato dal padre mio 
e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui» (Gv 14,21)

la reazione del discepolo Giuda — non l’Iscariòta — rivela un’imbarazzante difficoltà a fermare l’attenzione sui temi più cruciali, privilegiando quelli più leggeri, che ci autorizzano a un certo disimpegno:

«Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi,
e non al mondo?» (14,22)

Il Signore, tuttavia, non si scompone e non si lascia distrarre da una domanda che sposta l’accento sul problema della manifestazione di Dio, anziché restare gioiosamente ancorato a quello dell’esperienza d’amore che il discepolo è chiamato ad abbracciare.

«Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà
e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (14,23)

La fatica con cui Paolo, nel racconto degli Atti, riesce a convincere gli abitanti di Listra a desistere dal vore offrire un sacrificio in onore suo e di Barnaba, dopo la guarigione di un uomo paralizzato dalla nascita, diventa una chiave di lettura per comprendere più a fondo la strana replica di Giuda alle parole di Gesù. 

«Uomini, perché fate questo? Anche noi siamo esseri umani, mortali come voi,
e vi annunciamo che dovete convertirvi da queste vanità al Dio vivente» (At 14,15)

Siamo tutti molto più colpiti dalla manifestazione di Dio — soprattutto quando si compie tra lampi emotivi e appagamenti sensibili — piuttosto che dal suo dono d’amore per noi — essenzialmente ordinario, silenzioso e debole. Per questo preferiamo tenere fisso lo sguardo sui momenti di gratificazione che (ci) accadono, anziché assaporare il cibo della compassione. Oppure ci leghiamo alle persone e alle situazioni che ci indicano il volto del Signore, piuttosto che osare l’avventura di un rapporto personale con lui, nel quale la nostra povertà è chiamata a diventare il principale luogo di incontro e di scambio. Fatichiamo a credere che il nostro bisogno d’amore è ormai invitato a risolversi nel cuore squarciato di Cristo. Il tempo di Pasqua però è temerario e ostinato, non si stanca di annunciarci che la nostra vita diventa feconda solo nella misura in cui impariamo a voler bene a Gesù, restando uniti alla sua parola. Lasciando che la linfa del suo bene spenga ogni agitazione e dissipazione del cuore. 

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