FARE (LA) VERITÀ

Mercoledì – II settimana del Tempo di Pasqua
Gli apostoli hanno dovuto affrontare numerosi ostacoli per rendere testimonianza alla risurrezione di Gesù, ma, sostenuti e guidati dall’invisibile guida Spirito Santo effuso nei loro cuori il giorno di Pentecoste, sono stati spettatori di avvenimenti straordinari, momenti di autentica liberazione dai pericoli e dalle barriere che si ponevano sulla loro strada. 

Durante la notte, un angelo Signore aprì le porte del carcere, 
li condusse fuori e disse: 
“Andate e proclamate al popolo, nel tempio, 
tutte queste parole di vita” (At 5,19-20)

Così mentre i discepoli sono già tornati nel tempio a diffondere il vangelo, le guardie vanno a prelevarli in prigione e si imbattono in una situazione inspiegabile, addirittura sconcertante. Di fronte alla quale si smaschera tutta la «gelosia» che aveva spinto il sommo sacerdote «con tutti quelli della sua parte» (At 5,17) all’inutile tentativo di sequestro.

Abbiamo trovato la prigione scrupolosamente sbarrata 
e le guardie che stavano davanti alle porte,
ma, quando abbiamo aperto, non vi abbiamo trovato nessuno (5,23)

Se consideriamo con attenzione il racconto di questo miracolo, possiamo notare la stranezza di alcuni particolari. L’evento prodigioso, infatti, non determina una vera e propria modificazione degli impedimenti alla missione apostolica. Le porte della prigione sono sbarrate, eppure i prigionieri sono liberi. La grazia del mistero pasquale non sembra però affrancare i discepoli dalle tribolazioni che, di fatto, non solo rimangono, ma addirittura si moltiplicano.

Allora il comandante uscì con gli inservienti e li condusse via, ma senza violenza, 
per timore di essere lapidati dal popolo (5,26)

Gli effetti della risurrezione di Gesù dai morti, infatti, non coincidono con la rimozione di quelle barriere e di quegli ostacoli che il nostro cammino umano è chiamato ad affrontare. Essere cristiani non significa disporre di un’assicurazione o una rassicurazione contro le cose che ci fanno (ancora) paura: la malattia, la fame, la persecuzione da parte dei fratelli. Facendo risorgere il suo Figlio da morte, Dio non ha tolto nulla dalla realtà. Ha piuttosto aggiunto ciò che le mancava: la forza per non alimentare il veleno dell’invidia e dilatare, invece, gli spazi  e le opportunità dell’amore.

Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito,
perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna (Gv 3,16)

Per questo, ormai, il contrario di fare il male non è più fare il bene, ma fare la verità. Non sempre infatti ci è possibile compiere buone cose. Spesso siamo costretti a piangere, attendere, sopportare, persino morire. Eppure sempre ci è possibile fare la verità, nascere come figli di Dio, mettendo amore — anzi, tanto amore — in quello che ogni giorno ci è chiesto di vivere o di patire. 

Chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente
che le sue opere sono state fatte in Dio (3,21)

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