FARCI PANE

Martedì – III settimana del Tempo di Pasqua
Per convertirci alla Pasqua dobbiamo diventare capaci di contemplare, cioè di accedere a una visione della realtà illuminata dal vangelo e infiammata dall’amore dello Spirito Santo versato nei nostri cuori. A questo tipo di visione profonda approda il diacono Stefano, proprio nel momento in cui la sua storia diventa dolorosa passione.

«Ecco, contempo i cieli aperti 
e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio» (At 7,56)

In realtà, in questa visione, Stefano arriva a contemplare il compimento della sua stessa vita, che si conforma in modo sorprendente a quella del suo Signore. Non tanto per una somiglianza nella sofferenza, quanto per una partecipazione al medesimo abisso di compassione e perdono. 

Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: 
«Signore, non imputare loro questo peccato». Detto questo morì (7,60)

Dopo la condivisione dei pani e dei pesci, i discepoli appaiono invece ancora bisognosi di segni e conferme per immergersi in una sincera adesione alla logica del vangelo. Per quanto limpidi e convincenti, sembra che i motivi per affidarsi a Dio siano sempre insufficienti a nutrire tutti i bisogni del cuore. 

«Quale segno dunque tu compi perché vediamo e ti crediamo?
Quale opera fai?» (Gv 6,30)

Dietro a questa attesa di ricevere nuove opere si cela la pretesa di continuare a ricevere pane, anziché entrare nella responsabilità di diventarlo. È la «resistenza allo Spirito Santo» che rende tutti noi così «testardi e incirconcisi nel cuore e nelle orecchie» (At 7,51) nelle alterne vicende della vita che, sempre, ci offrono l’occasione di conformare la nostra vita a Cristo e onorare il dono battesimale.

«Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo 
e dà la vita al mondo» (6,33)

Accogliere il pane di Dio non vuol dire solo saziarsi. Significa anche saziare, finalmente, la sete di senso che accompagna i nostri passi e comprendere che l’opera di Dio più grande è l’assimilazione della nostra vita alla sua. Se accogliamo il pane di Dio dobbiamo firmare la liberatoria per il trattamento dei nostri dati più sensibili e privati. E acconsentire — in tutta libertà — alla più irreversibile delle trasformazioni. Diventare quello che vogliamo ricevere. Farci pane per gli altri. Non quando e come noi vorremmo. Ma così come la storia ci consente di vivere. E di morire.

E lapidavano Stefano, che pregava e diceva: 
«Signore Gesù, accogli il mio spirito» (At 7,59)

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