COME (I) DISCEPOLI

Mercoledì della Settimana Santa
Mentre noi immaginiamo che la capacità di andare incontro a un tragico destino derivi da una forza straordinaria — divina — presente nella persona di Gesù, la parola profetica rivela che solo a partire da una profondo contatto con la debolezza può nascere la possibilità di non tirarsi indietro nell’ora della testimonianza. Gesù ha saputo vivere fino in fondo questo atteggiamento. Non tanto e non solo perché era il Figlio di Dio. Anche e soprattutto perché era figlio dell’uomo. L’ascolto dell’altro era diventato, giorno dopo giorno, il respiro della sua stessa esistenza. 

Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli.
Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza, 
non mi sono tirato indietro (Is 50,5)

In ogni giorno della sua esistenza terrena, Gesù ha fatto attento il suo orecchio a noi, fino ad accogliere la nostra realtà — senza condizioni e senza limiti — in ogni sua latitudine. Come discepolo della nostra umanità, il Signore ha varcato le porte del suo mistero pasquale. Per questo la sua scelta è stata libera e ponderata, capace di riconoscere l’ora del tradimento e del dolore come un’occasione per introdurre le relazioni nella verità tutta intera. Senza tacere il mistero del male.  

In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà (Mt 26,21)

Gesù ha capito che il gruppo dei suoi discepoli è scoraggiato e impaurito. Si rende perfettamente conto che la paura e la delusione serpeggia tra i suoi amici e sa chi è colui che sta per consegnarlo a morte. Ma proprio per questo non si tira indietro e trasforma l’ora della sconfitta in una solenne liturgia di volontario, libero amore. Il cuore del Signore ha ascoltato così attentamente il vuoto presente nel nostro cuore fino ad avere per noi solo compassione e comprensione. Per questo non esita a parlare con franchezza. 

Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui;
ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito!
Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato (26,24)

Gesù accetta la sua morte per strappare dal nostro futuro il tragico destino del peccato, creando uno spazio santo e accessibile a tutti che ancora oggi noi chiamiamo tempo di salvezza. Alla vigilia del Triduo, la liturgia prova a offrirci un’ultima, drammatica opportunità di coinvolgimento nel mistero pasquale, facendoci ascoltare la terribile domanda che ha attraversato le lebbra di tutti i discepoli. Perché solo così — confusi e raggiunti — possiamo celebrare la Pasqua del Signore nella verità: come i discepoli.

Sono forse io, Signore? (26,22)

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