ACCOGLIERE

Lunedì – III settimana del Tempo di Pasqua
Le letture di oggi attestano due diverse incapacità di leggere i segni con cui, attraverso la realtà, il Signore sempre ci parla. Il primo è la rabbiosa ostilità di alcuni membri della sinagoga, che reagiscono male di fronte ai prodigi e ai segni che il cristiano Stefano compie a Gerusalemme in mezzo al popolo. Dopo aver cercato di mettere in crisi la sua evidente sapienza, quando si rivela ormai fallito l’intento censorio, l’odio si tramuta in violenza.

E così sollevarono il popolo, gli anziani e gli scribi, gli piombarono addosso,
lo catturarono e lo condussero davanti al sinedrio (At 6,12)

Il vangelo mette a fuoco un altro tipo di avversione ai segni di Dio, solo in apparenza meno drammatica, perché incruenta. La folla, dopo aver visto e gustato il gesto di amore con cui il Signore Gesù ha saziato la sua fame, mediante la condivisione del poco cibo presente, si mette a cercarlo con ansia, disposta persino a imbarcarsi fino alla riva opposta del lago di Tiberìade. Il Maestro, però, non si lascia incantare da questo facile entusiasmo. 

«In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni,
ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati» (Gv 6,26)

Il problema della folla è messo a nudo. Sazia e contenta del regalo appena ricevuto, essa non si sta preoccupando di approfondire una relazione con la persona del Rabbì di Nazaret, ma di assicurarsene i favori. È lo stesso atteggiamento con cui — dietro a un’apparenza di generosa apertura — anche noi spesso evitiamo di tessere legami autentici e ci limitiamo a vivere rapporti strumentali. Così stiamo insieme senza legarci davvero e ci troviamo persino a usare l’altro riducendolo ai nostri bisogni. Il Signore Gesù non ci sta. Rilancia. Annuncia che esiste un altro modo di assaporare e assimilare la responsabilità di un incontro importante.

«Datevi da fare non per il cibo che non dura, 
ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà» (6,27)

Il cibo che rimane sono i rapporti vissuti a fondo e con lealtà. A partire da quello con Dio, fino ad arrivare a quelli con tutti gli altri. Solo questo modo di vivere — pieno di conseguenze — sazia il nostro cuore. Per compiere questo tragitto dalla pancia al cuore, in realtà non bisogna fare chissà che cosa. Anzi, non occorre proprio fare delle cose. Solo accogliere la realtà dell’altro e non solo quello che egli è capace di darci. In altre parole credere. Questo il Signore Gesù ci chiede di “fare” in questi giorni di Pasqua. Nel conto alla rovescia del dono dello Spirito. Nell’attesa di una pienezza da ricevere a mani aperte e cuore libero. 

Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: 
che crediate in colui che egli ha mandato» (6,29)

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