INVANO

Martedì della Settimana Santa
Nella debolezza di Giuda che tradisce e nella presunzione di Pietro che rinnega, contempliamo oggi quella parte della nostra umanità che non può entrare in alleanza con Dio se prima non è raggiunta e salvata dal suo amore. Dopo tanto tempo passato assieme, Gesù è ben consapevole della fragilità di coloro che ha scelto per essere discepoli, apostoli e testimoni della definitiva rivelazione di Dio. Alla vigilia della sua passione, Gesù porta nel cuore la duplice coscienza di gloria e sconfitta già annunciata nei canti del «servo sofferente» di Isaia. 

(Il Signore) mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria».
Io ho risposto: «Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze» (Is 49,4)

«Invano» non significa che la fatica è «inutile», ma che la sua efficacia è ormai fuori da ogni possibilità di controllo, non più verificabile. Il servo del Signore — ogni umanità a servizio di Dio — è descritto come uno che, proprio a causa dei progetti di bene abbracciati dal suo cuore, a un certo punto non può più sapere se e come la sua opera di amore e giustizia giungerà a compimento. Eppure non si scoraggia, anzi, intuisce che il momento in cui tutto scivola via dalle mani, è pure il momento in cui la luce della verità può irradiarsi fino ai confini della vita e della morte. 

«Io ti renderò luce delle nazioni,
perché tu porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (49,6)

Davanti a questa espansione luminosa ci sono però due persone che non riescono ad accogliere la gratuità del dono. Gesù se ne accorge e denuncia l’inciampo presente nel cuore di Giuda con un gesto finissimo, con il quale trasforma il tradimento in volontaria consegna.

Gli disse dunque Gesù: 
«Quello che vuoi fare, fallo presto» (Gv 13,27)

Ma c’è anche Pietro, prigioniero dalla sua volontà di potenza, convinto di poter e — peggio ancora — di dover dare la vita per il Maestro. Gesù non risparmia neanche a lui una parola di salvezza. 

«Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: 
non canterà il gallo, prima che tu non mi abbia rinnegato tre volte» (13,38)

Se in Giuda vediamo il male da cui siamo salvati, in Pietro riconosciamo il bene da cui il Signore deve salvarci. Il primo e l’ultimo dei discepoli rappresentano la nostra umanità che inciampa davanti al gratuito effondersi della carità di Dio, un regalo che non possiamo né negare (Giuda) né conquistare (Pietro), ma che dobbiamo imparare a ricevere gratuitamente. Per poter anche noi, invano, fare altrettanto. Finalmente regalarci. 

Commenti