INCANCELLABILI

Mercoledì – IV settimana del Tempo di Quaresima
Nell’uso comune, il termine dipendenza è diventato sinonimo di ogni patologica subordinazione in cui l’uomo è capace di (s)cadere. Con tutt’altra accezione il Signore Gesù fa riferimento al medesimo concetto per dichiarare l’intensità e la robustezza del suo rapporto filiale con Dio. Non sembra avere alcun imbarazzo il Figlio di Dio ad affermare quello che a noi fa così tanto paura: l’assoluta inconsistenza del nostro essere (da) soli. 

«Il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre;
quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo» (Gv 5,19) 

Abituati ogni giorno a fare un sacco di cose e a cavalcare frizzanti opportunità — dimenticando il più delle volte che si tratta di doni e non di inalienabili diritti — ci sembra quasi assurda l’idea di non poter far niente se non prendendo appunti. Tuttavia, abbiamo tutti qualche problema a ristabilire un contatto adulto e responsabile con le giuste dipendenze e le legittimi autonomie presenti nella nostra vita. Nei confronti delle prime, temiamo che possano impedirci di essere liberi artefici del nostro destino, verso le seconde invece oscilliamo tra trasgressione e paura. Il vangelo di oggi ci offre parole per ristabilire un contatto sereno con la nostra ricevuta autonomia, liberandoci dalla paura — e dal sospetto — che diventare figli possa in qualche modo significare rimanere bambini. 

«Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, 
così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso 
e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo» (5,26)

Non disporre della vita, paradossalmente, è l’unico modo per averla “in noi stessi”, cioè per fruirne come dono da accogliere e da restituire. Infelici — profondamente tristi — lo siamo infatti non quando ci è impossibile agire in totale libertà, ma quando non ci sentiamo né conosciuti né riconosciuti in quello che siamo e ci troviamo a vivere. Questa è la vera morte che tutti possiamo gustare ancora prima di morire. 

«In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola 
e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, 
ma è passato dalla morte alla vita» (5,24)

Per fare Pasqua e passare — già in questo mondo — dalla morte alla vita, occorre solo ascoltare la voce del Figlio e credere che, come la sua, anche la nostra vita è premurosamente custodita nelle mani del Padre. Mentre passiamo le giornate a frugarci le tasche alla ricerca di qualche spicciolo con cui pagare il conto della vita, a elemosinare attenzioni e premure in ogni direzione, ci dimentichiamo di essere amati per sempre da un Dio che vuole solo donarci ogni cosa e renderci simili alla sua bellezza. Ci dimentichiamo che — davanti al suo volto — non saremo dimenticati per sempre. Che siamo incancellabili.

«Si dimentica forse una donna del suo bambino, 
così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? 
Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (Is 49,15)

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