BASTA IMPROVVISARE

Venerdì – V settimana del Tempo di Quaresima
Il profeta Geremia, avvertendo terrore intorno a sé, a causa della scomoda profezia di cui si è fatto portavoce, non smarrisce la fiducia nel Dio che lo ha inviato al suo popolo. Proprio nell’ora in cui il suo cuore è avvolto dalle tenebre dell’inimicizia, mantiene accesa la fiamma della preghiera. Anche Gesù, davanti ai Giudei che portano di nuovo pietre per lapidarlo, percorre la strada del dialogo e proclama senza esitazioni il suo fortissimo legame con il Padre.

Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso (Ger 20,11)
Sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre (Gv 10,38)

Parole come queste non si improvvisano nel momento del pericolo, quando l’angoscia dentro di noi cresce in maniera proporzionale all’ostilità che circonda noi, i nostri desideri i nostri progetti. Sono piuttosto il frutto di un lungo e sofferto cammino, gli ultimi versi di un poema maturato nella notte e nel silenzio. Dentro queste parole possiamo rintracciare non tanto un’eccellente esemplarità, quanto un’inquietante rivelazione: Dio non salva dal terrore ma nel terrore. Tanto al profeta quanto al Figlio non è risparmiato il personale cammino di prova e di sofferenza. Anzi, il momento della persecuzione diventa occasione di esprimere le parole dell’affidamento e della speranza. Il terrore non è perciò tolto, ma convertito, trasformato in canto di speranza.

Signore degli eserciti, che provi il giusto, che vedi il cuore e la mente,
possa io vedere la tua vendetta su di loro, poiché a te ho affidato la mia causa! (Ger 20,12)

Convertirsi, rinunciare a se stessi, perdere la propria vita, significa saper trasformare i nostri peggiori sentimenti. Essere disponibili, proprio nell’ora dell’angoscia, a rinunciare a diritti e aspettative per accontentarsi dell’unica cosa disponibile: celebrare nell’oscurità l’alleanza con il Dio conosciuto nei giorni di luce. Questo è il frutto maturo dell’incarnazione di Dio, mistero che ci trova sempre impreparati e sdegnati, perché è scandalo e follia per il nostro buon senso. La scelta di condividere — non rimuovere — il nostro dolore è un movimento di abbassamento che fatichiamo a comprendere. Quindi a formulare. Come i Giudei non riusciamo proprio a credere che la salvezza sia un movimento dal basso verso l’alto, a cui dobbiamo con fiducia consegnarci. Preferiamo improvvisare bontà, anziché crescere nella fede. Al punto che ci risuona blasfema l’offerta incondizionata di amore che vuole cambiare tutti i nostri giorni.

Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia:
perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» (Gv 10,33)

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