AVVICINARSI

Giovedì – IV settimana del Tempo Ordinario
Le istruzioni con cui Gesù manda i discepoli ad annunciare il regno di Dio non cessano di provocare i discepoli di ogni tempo a una profonda e liberante conversione. Anziché preoccuparsi di specificare cosa dire, il Maestro sembra maggiormente attento a indicare come farlo. Perché l’annuncio del Regno è questione di forma, più che di sostanza; problema di testimonianza, più che di marketing. Il vangelo è un modo di vivere che, nella sua mite eloquenza, dovrebbe emanare luce, forza, guarigione.

In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due
e dava loro potere sugli spiriti impuri (Mc 6,7)

A due a due, non da soli. Da questa condivisione si sprigiona una specie di autorità sugli spiriti impuri, cioè quei pensieri cattivi che gettano nel cuore umano il sospetto di essere condannati a tristezza e solitudine. Contro questa tenebra non esiste altro antidoto che l’evidenza di una comunione possibile, la testimonianza di passi compiuti insieme. Vi è un modo di porgersi agli altri che permette alla grazia di Dio di espandersi a macchia d’olio, diventando come un unguento che sana e lenisce. È la testimonianza della fraternità, che in molti modi ci è dato di vivere ogni giorno.

E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: 
né pane, né sacca, né denaro nella cintura;
ma di calzare sandali e di non portare due tuniche (6,8-9)

Per annunciare il vangelo occorre vivere con una certa essenzialità che sia la manifestazione di una genuina libertà interiore. Altrimenti corriamo il rischio di fare molte cose e donarne altrettante, ma sempre risparmiando noi stessi e permettendo agli altri di restare quasi intimoriti di fronte all’arsenale della nostra bontà e del nostro zelo. Andare in povertà è l’unica garanzia di una libertà autentica. Persino quella da esiti e aspettative.

«Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, 
andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro» (6,11) 

Non dobbiamo arrabbiarci se in famiglia, al lavoro, in parrocchia, le cose non procedono come vorremmo. Dobbiamo solo scuotere la povere dai piedi, per far capire all’altro che bella occasione si è perso — a non incontrarci — e poi riprendere il viaggio. A nulla serve fare gli offesi oppure tuonare sentenze. Meglio riprendere il cammino, amare e sorridere. In pace, a due a due. Questa è la migliore pubblicità alla benevolenza di Dio, in grado di cancellare dalla storia il timore nei suoi confronti e di annunciare che esiste un amore più assordante di qualsiasi paura rimanga nei nostri cuori. Un amore talmente bello da poter essere avvicinato.

Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, 
alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa
e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli,
al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, 
e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele (Eb 12,22-24)

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