NOSTRA TERRA

Martedì – XXXIV settimana del Tempo Ordinario
È inutile, conviene ammetterlo. Ci attirano più le forme esteriori delle cose che i loro significati e la loro profonda realtà. Perché le prime hanno il potere di sedurre e affascinare i sensi in un attimo. Per accedere invece al senso delle cose, è necessaria riflessione, ricerca, attesa, coraggio persino, quando le cose mostrano non solo le loro luci ma anche le ombre. Prende le mosse da questa realtà il vangelo di oggi, dove tra Gesù e alcuni che stavano nel tempio si manifesta una grande diversità di sguardo. 

In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi,
Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, 
non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta» (Lc 21,5-6)

La distruzione del tempio è argomento triste e delicato per Israele. Eppure la profezia di Gesù non è insensibile al valore di questo luogo religioso, che è stato importante anche per la sua formazione umana e religiosa. L’imminenza della sua Pasqua spinge però il Maestro a non fissare lo sguardo sul volto più esteriore della fede di Israele, ma sulla grande trasformazione che il suo sacrificio sta per imprimere alla storia. Per questo, aggiunge parole di rassicurazione di fronte alla comprensibile paura di perdere i punti di riferimento acquisiti. 

«Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, 
perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine» (21,9) 

Le prime comunità cristiane — anche attraverso l’esperienza delle persecuzioni — hanno maturato ben presto una certa disponibilità a vedere il giudizio di Dio e le trasformazioni storiche di cose e situazioni non solo come dolorose privazioni, ma soprattutto come misteriose espansioni di vita. Il testo dell’Apocalisse ce ne offre conferma, attraverso l’immagine degli angeli che gettano la falce sulla terra per mietere e vendemmiare.

Allora colui che era seduto sulla nuve lanciò la sua falce sulla terra 
e la terra fu mietuta (Ap 14,16)

Certo, l’ora della mietitura appare come un tempo assai scomodo. Così come il crollo improvviso e definitivo di istituzioni costruite con sacrificio e impegno, a cui siamo legati e affezionati. Eppure è tappa dolorosa di cui la terra necessita per dare e continuare a dare il suo frutto. Oggi siamo chiamati a ricordare che la vita va — necessariamente — incontro a un giudizio, un tempo in cui la falce mieterà la messe della nostra terra. E a vivere questa memoria senza paura, ma con profonda fiducia in un Dio che è Padre. Fino a poter dire col salmista: «Vieni, Signore, a giudicare la terra». La nostra terra!

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