INVITATI

Martedì – XXXI settimana del Tempo Ordinario
Uno di modi più ordinari con cui ci giustifichiamo, nei momenti in cui siamo «invitati» a giocarci nelle cose e con le persone, è quello di identificare la felicità sempre un po’ altrove rispetto alle nostre coordinate satellitari. Pensando di formulare un’arguta osservazione, uno dei commensali che ha appena ascoltato l’invito a invitare poveri, storpi, ciechi e zoppi, lancia la palla lontano da sé.  

«Beato chi prenderà cibo nel regno di Dio!» (Lc 14,15)

L’anonimo personaggio forse non si è accorto di aver appena ribaltato la prospettiva: dalla gioia di invitare i poveri alla propria mensa (cf. vangelo di ieri) si è passati alla gioia di essere invitati da Dio al banchetto celeste. Il Signore Gesù non puntualizza, ma segnala un nuovo punto di partenza attraverso un racconto il cui messaggio, alla fine, appare abbastanza chiaro: gli “ultimi” della società accolgono facilmente e felicemente un invito a cena, quelli invece che si sentono “primi” — a causa di quello che possiedono, di quello che devono fare, di ciò a cui sono legati  — declinano l’offerta con molta eleganza. 

«[...] io vi dico: nessuno di quelli che erano stati invitati gusterà la mia cena» (14,24)

Il finale tragico di un banchetto che aveva la sola ambizione di rendere tutti sazi e contenti, apre lo spazio per una temibile ipotesi: e se il problema fosse proprio la nostra difficoltà a riconoscerci «poveri, storpi, ciechi e zoppi»? Se fosse, in fondo precisamente questo il motivo per cui ci lasciamo prendere troppo dalle cose (che abbiamo o facciamo): la nostra allergia a riconoscerci poveri e bisognosi, da cui deriva poi anche l’incapacità di rispondere agli inviti a cena che il Signore continuamente ci porge? Se fosse la nostra imbarazzata nudità il motore scatenante di tutte le scuse che accampiamo, pur di non lasciarci soccorrere nel nostro radicale (essere) bisogno(si)? 

«Fratelli, abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù:
egli, pur essendo nella condizione di Dio, 
non ritenne un privilegio l’essere come Dio,
ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, 
diventando simile agli uomini» (Fil 2,5-7)

L’apostolo Paolo indica una strada sempre percorribile, che potremmo riassumere in uno slogan: se ti senti sempre tagliato fuori dal numero degli invitàti — magari perché senza nemmeno accorgertene più rifiuti ogni invito — allora invìtati tu senza sciupare tempo in sterili attese. Così ha fatto Gesù quando ha deciso di partecipare alla mensa della nostra umanità, per manifestare pubblicamente il bisogno di Dio di averci alla sua mensa come figli grati e liberi. Infatti, sempre, dai bisogni più radicati e radicali — quelli che ci restituiscono alla nostra povertà di spirito — nascono i movimenti più belli di cui siamo capaci. I limpidi atti d’amore.  

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