CAMMINARE

Venerdì – XXXII settimana del Tempo Ordinario
Nella sua minuscola seconda lettera, il presbitero Giovanni si profonde in una calda e precisa raccomandazione a «camminare» bene. Ciò sarebbe già un’utile parola da praticare, visto che passiamo le giornate a correre e a rincorrere tanti, forse troppi, impegni. Ma la Scrittura sacra va sempre oltre quanto il buon senso già è capace di ricordare alla nostra intelligenza, non di rado intontita e satura di stimoli. Ci ricorda, infatti, che ci sono due sentieri — per nulla antagonisti — che i nostri passi sono chiamati continuamente a calcare. 

«Mi sono molto rallegrato di aver trovato alcuni tuoi figli che camminano nella verità [...]
Il comandamento che avete appreso da principio è questo: camminate nell’amore» (2Gv 4.6)

Nella verità e nell’amore: qui bisogna imparare a camminare, cioè a condurre e ricondurre i passi della nostra vita. L’invito — a prima vista molto condivisibile — smette subito di essere banale, quando è riferito al mistero e alla logica dell’Incarnazione del Verbo. Giovanni rammenta un pericolo che, purtroppo, serpeggia nel mondo da quando il Figlio di Dio si è fatto uomo. 

«Sono apparsi infatti nel mondo molti seduttori,
che non riconoscono Gesù venuto nella carne» (7) 
Non si tratta soltanto di errate riflessioni teologiche, o di temibili sette religiose avverse alla comunità dei credenti. Coloro che non riconoscono l’umanità come nuovo e definitivo tempio di Dio sono quanti si affannano ancora a cercare la salvezza della propria vita dentro le cose che fanno o che possiedono. Ne parla Gesù nel vangelo, non volendo intimorirci con un capriccioso finale della Storia senza misericordia, ma dichiarando apertamente che è necessario essere coscienti del modo con cui stiamo cercando di perdere o ricevere la vita. 

«Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà;
ma chi la perderà, la manterrà viva» (Lc 17,33)

Mangiare, bere, prendere moglie e marito, comprare, vendere, piantare, costruire: sono i verbi che coniugano da sempre la vita umana. Purtroppo — anzi per fortuna — non la descrivono interamente. C’è qualche cosa che resta, sempre, da fare: camminare «nella verità e nell’amore» (2Gv 3). Senza aver paura di quello che sta per accadere: sia la fine delle cose a cui ci siamo legati o affezionati, sia l’inizio delle cose nuove, quelle destinate a durare per la vita eterna. Essere disposti a camminare significa essere pronti a lasciare tutto, senza paura, senza voltarsi indietro. Perché la vita ci attende sempre davanti.

«In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza 
e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle;
così, chi si troverà nel campo, non torni indietro.
Ricordatevi della moglie di Lot (17,31)

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