ALZARE IL CAPO

Giovedì – XXXIV settimana del Tempo Ordinario
Dopo aver idolatrato la libertà, oggi la nostra generazione è forse pronta — soprattutto disposta — a riconsiderare la possibilità di diventare se stessi non solo come un diritto, o come una facoltà, ma come un bene da costruire. Anzi, come qualcosa da poter (solo) ricevere. Si chiama «liberazione» il volto cristiano della libertà. Le Scritture di oggi ci costringono a mettere in cima alla lista dei preferiti non tanto la possibilità di scegliere che fare (e non fare), ma il coraggio di accogliere quanto Dio ha fatto per noi.

«Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, 
perché la vostra liberazione è vicina» (Lc 21,28)

Gesù consegna ai discepoli spaventati e ansiosi questo incredibile annuncio, non al termine di un discorso programmatico di successi e traguardi, ma dopo aver gettato con estremo realismo uno sguardo sulla realtà. L’incarnazione di Dio non ha rimosso dalla storia umana i limiti, le imperfezioni, la presenza del caos e del male. Il Signore annuncia che tutte queste cose devono sfilare davanti ai nostri occhi, creando persino l’impressione che la fine «è vicina» (21,20). Non devono però diventare l’autorizzazione a credere nella paura. 

«Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, 
e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 
mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa 
di ciò che dovrà accadere sulla terra» (21,25-26)

Letteralmente, il testo dice che gli uomini potranno “separarsi dalla (loro) anima, per la paura di attendere”. Questo è il vero veleno per la nostra libertà e per la nostra liberazione: l’istinto di separazione autorizzato a causa dell’ansia. Quel sentimento che ci spinge a celebrare mille divorzi e infedeltà quando l’angoscia monta dentro di noi, e noi ci sentiamo legittimati ad abbassare lo sguardo, curandoci solo di noi o leccando le nostre inguaribili ferite. 

Un angelo possente prese allora una pietra, grande come una màcina, 
e la gettò nel mare esclamando: «Con questa violenza sarà distrutta Babilonia, 
la grande città, e nessuno più la troverà» (Ap 18,21) 

Per poter alzare il capo e attendere con umile gioia che la nostra redenzione avvenga, ci resta sempre una cosa da fare. Acconsentire all’esodo dalla cultura che ci ha inebriato, fino a “drogare” le latitudini più belle del nostro cuore. Esultare già alla notizia che il tempo, la storia, la geografia che ci hanno generato e accolto finora erano condizioni necessarie ma provvisorie. Bisogna uscirne se si vuole partecipare al banchetto di nozze dell’Agnello. Se si vuole permettere alla misura d’amore del vangelo di essere il nuovo parametro di autentica libertà. Di liberarci dalla prostituzione del cuore. 

«Alleluia! Salvezza, gloria e potenza sono del nostro Dio, perché veri e giusti sono i suoi giudizi. 
Egli ha condannato la grande prostituta che corrompeva la terra con la sua prostituzione, 
vendicando su di lei il sangue dei suoi servi!» (19,1-2)

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