ACCORDARSI

Venerdì – XXIX settimana del Tempo Ordinario
Per evitare fraintendimenti, il Signore Gesù affronta con tempestività l’argomento (apparentemente) di segno opposto a quello preso di mira nel vangelo di ieri. Dall’inevitabilità dello scontro (nell’incontro) con l’altro, si passa alla necessità dell’accordo mentre si fa insieme il cammino della vita.  

«Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada 
cerca di trovare un accorto con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice 
e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti i prigione» (Lc 12,58)

Al di là del sapore giuridico, che avvertiamo forse inopportuno o lontano, in queste parole possiamo riconoscere una certa dose di realismo, che mai manca al modo con cui il Signore Gesù coglie la vita nella prospettiva del regno dei cieli. Se anche non avessimo sulla scrivania un avviso di garanzia, dobbiamo ammettere che qualche «avversario» sempre sta nei nostri paraggi. Oppure, l’avversario molto spesso lo siamo noi per gli altri. Questo tempo in cui gli avversari camminano lungo la stessa strada, è visto dal Maestro come un’occasione per imparare ad avere occhi nuovi e cuori disposti al perdono, prima che il prezzo da pagare diventi (sempre) più alto. 

«Io ti dico: non uscirai di là 
finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo» (12,59)

Certo, non ci sarebbe bisogno di giudici e tribunali se ciascuno di noi, nel duplice ruolo di vittima e carnefice, facesse sua l’esortazione dell’apostolo, così prigioniero del volto misericordioso di Dio da voler vincolare tutti a quella pace che si raggiunge offrendo il meglio della nostra umanità. 

«Comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto,
con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore» (Ef 4,1-2)

Ma per sentire l’urgenza di una simile conversione a quanto di più bello riposa nel profondo della nostra libertà, dobbiamo lasciarci provocare dal volto dell’altro, il segno più eloquente con cui Dio ci chiede di uscire da noi stessi per diventare capaci di umile amore. Con la stessa naturalezza con cui guardando le previsioni del tempo scegliamo cosa indossare, dovremmo essere capaci di «giudicare da noi stessi» ciò per cui vale la pena di vivere, e anche morire. Non certo le cose, i beni, le situazioni. Ma le relazioni che stiamo costruendo o disertando. In quel fiume di rapporto dove, sicuramente, anche oggi, qualcuno sta aspettando proprio noi. 

«Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo;
come mai questo tempo non sapete valutarlo?
E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?» (Lc 12,56-57)

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