LASCIARSI GUIDARE

Mercoledì – XXVIII settimana del Tempo Ordinario
L’avvio della liturgia odierna potrebbe essere inteso come l’inizio di un discorso a sfavore della Legge, in difesa di quella che noi oggi potremmo chiamare una certa “libertà interiore”. Con il suo stile provocatorio e risoluto, Paolo sembra rivolgere un preciso invito ad affrancarsi da una mentalità schematica e gretta per diventare spiritualmente più maturi.

«Fratelli, se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge» (Gal 5,18)

L’ipotesi è suggestiva. E la storia umana ha conosciuto diversi momenti — anche recenti — in cui si è pensato di poter fare a meno di regole e convenzioni, per abbracciare stili di vita meno imbrigliati nei dedali del legalismo. Anche oggi stiamo accarezzando il sogno di non essere più schiavi di norme o dettami morali, ma guidati da un universale spirito di amore, rispetto e fratellanza. Che cosa poi questo presunto “spirito” sia, nessuno lo sa realmente, ma ciascuno lo invoca a proprio vantaggio, a sostegno delle proprie idee. Anche l’apostolo, naturalmente, aveva qualche idea a riguardo.

«Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, 
benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (5,22)

Il suo sguardo però non si limitava a cogliere quanta (bella) vita sgorga se ci lasciamo fecondare e guidare dallo Spirito. Senza timore, sapeva individuare e nominare anche quella ragnatela di fallimenti e meschinità in cui rimaniamo intrappolati, quando viviamo in obbedienza al nostro stomaco, con tutte le sue leggi e i suoi desideri.

«Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, 
dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, 
divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere» (5,19-20)

La tensione tra questi due orizzonti non è per quella tra la Legge e lo Spirito, ma tra lo Spirito e la carne, che trae forza dalla Legge. Cioè tra una vita realmente in relazione con Dio e una tutta concentrata e incentrata su se stessi. Ecco perché il frutto dello Spirito è al singolare — come una sorgente — mentre le opere del nostro io sono al plurale — come uno sforzo di star bene che non arriva mai a pienezza. Gesù nel vangelo denuncia apertamente il rischio mortale di una fedeltà a Dio che non si traduca in un incremento di vita, per sé e per gli altri. 

«Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono 
e la gente vi passa sopra senza saperlo» (Lc 11,44)

Se ci lasciamo trafiggere da queste parole, forse anche noi potremmo sentirci un po’ offesi, come i dottori della Legge che per primi l’hanno udita. Ma essere colpiti nell’orgoglio dalla parola di Dio è principio di salvezza. Se siamo disposti ad ammettere che qualche volta le cose stanno proprio così — nessuno si accorge e raggiunge la nostra solitudine — allora l’umiliazione può essere l’inizio di una (altra) pasqua. L’isolamento in cui siamo scivolati l’inizio di un (altra) umile voce di preghiera. Guidati dallo Spirito.  

Commenti