IL MEGLIO

Venerdì – XXX settimana del Tempo Ordinario
In un giorno di sabato, in una casa, durante un pranzo. Gesù avverte che l’attenzione sulla sua persona e sulla sua opera in favore del vangelo cresce. Mentre tutti gli sguardi sono rivolti verso di lui, il Maestro invece volge il suo sguardo a chi, in quel giorno, in quella casa, durante quel pranzo, porta nella sua pelle rigonfiamenti e ferite. 

Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisia (Lc 14,2) 

In tanti momenti, anche noi ci troviamo in questa situazione. C’è un bisogno, qualcuno da aiutare, una situazione da soccorrere. E — siccome il mondo è pieno di difficoltà — il più delle volte verifichiamo soltanto se è ancora il nostro turno, oppure siamo autorizzati a passare il turno. Tando Dio o qualcun altro provvederà. Arrestandoci dietro i confini di ciò che è lecito e di ciò che si deve fare. Senza dire nulla. Senza muovere un dito.

Rivolgendosi (lett. Rispondendo) ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: 
«È lecito o no guarire di sabato?» (14,3)

Curiosamente, il testo non dice che Gesù si “rivolge”, ma che “risponde” ai capi religiosi, anche se questi non hanno in realtà detto nulla. Ma il silenzio e le omissioni non sono nulla. Sono, purtroppo, quella parola che troppo spesso tutti noi sottoscriviamo, ogni volta che siamo insensibili al volto del fratello che attende il nostro coinvolgimento e il nostro conforto. Quasi per insegnarci a ripartire da ciò che sempre è lecito fare — il bene — il Signore Gesù compie un gesto che guarisce il malato e svela il vero significato del sabato.

Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò (14,4)

La domanda retorica con cui il vangelo si chiude non vuole umiliare gli avversari, ma ricordare loro che questa attenzione a tendere una mano verso chi ha bisogno è scritta dentro il cuore, una legge inderogabile. E li invita a passare dal lecito al meglio, dall’amore per la legge alla legge dell’amore. Un dinamismo che, dopo la Pasqua di Gesù, ha cominciato a infiammare la vita e la carne di tutti i suoi discepoli.

«E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento 
perché possiate distinguere ciò che è meglio» (Fil 1,9-10)

Il meglio è quello che sempre possiamo fare. È l’amore che possiamo sempre scegliere di promuovere, riconoscere, costruire. Tante situazioni, ogni giorno, ci attendono silenziose e bisognose di qualcosa che noi — solo noi — possiamo fare. Nemmeno Dio può — anzi, vuole — compierle al postro nostro. Perché si fida di noi. Del nostro cuore e delle nostre mani. Del nostro — cioè suo — meglio. 

Commenti

Anonimo ha detto…
Ho scoperto questo blog soltanto ieri, grazie a Costanza Miriano.
E' bellissimo, grazie. Se si scava a fondo, in internet si trovano anche piccoli paradisi come questo.