ESSERE (STATI) MORTI

Lunedì – XXIX settimana del Tempo Ordinario
Il vangelo odierno trae spunto da una situazione, purtroppo, assai frequente nelle vicende familiari, che si presenta quando accade di dover spartire l’eredità lasciata da un defunto. In un attimo ci si trova a contendere, discutere e litigare pesantemente con le stesse persone che fino a un momento prima erano familiari e care. E ci si scopre terribilmente attaccati al denaro e ai beni di questo mondo. Il Signore Gesù non perde l’occasione per strappare i nostri occhi, e soprattutto il nostro cuore, da questo seducente idolo.

«Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché,
anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che possiede» (Lc 12,15)

L’insegnamento è limpido e preciso: quello che siamo non dipende da quello che abbiamo (o avremo). Pertanto dobbiamo rinunciare all’abitudine di controllare il registro di cassa, per verificare se il nostro bilancio è in crescita o in diminuzione. Soprattutto dobbiamo difenderci dal morboso desiderio di avere il frigorifero sempre pieno — anzi sovrabbondante — di quel che può sostenere e allietare i nostri giorni. Per non incorrere nella ridicola situazione di chi, dopo tanti sforzi, pianificazioni e controlli, scopre di essersi affannato invano. 

«“Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. 
E quello che hai preparato, di chi sarà?”
Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio» (12,20-21)

Gesù, come al solito, va al cuore delle cose, cercando di metterci al riparo da quelle delusioni che sempre ci attendono dietro l’angolo, ogni volta che abbiamo (ri)cominciato a vivere per cose piccole e di breve durata, per gioie e beni che non possono saziare la sete dell’anima. L’apostolo Paolo, con altro linguaggio ma uguale intensità, prova a richiamare alla memoria dei cristiani di Efeso quella mancanza di pienezza a cui bisogna — prima o poi — assegnare il nome adeguato: morte. 

«Fratelli, voi eravate morti per le vostre colpe e i vostri peccati,
nei quali viveste, alla maniera di questo mondo» (Ef 2,1-2)

Le contese tristi e gli inutili affanni trovano terreno facile in noi proprio quando perdiamo il ricordo e la consapevolezza che la morte non è solo quella temibile cosa che domani busserà alla porta — e che muove ogni nostro istinto di possesso — ma è soprattutto quel vuoto in cui abbiamo già vissuto e dimorato. Senza la memoria e l’esperienza di questo radicale fallimento, non possono nemmeno brillare — come luce in mezzo alle tenebre — le parole che ci ricordano quanto Dio ha compiuto per noi. Quando nella nostra morte è entrato con tutto il suo amore.  

«Ma Dio , ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato,
da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati» (2,4-5)

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