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Giovedì – XXV settimana del Tempo Ordinario
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Il tetràrca Erode e il sapiente Qoèlet sembrano accomunati dalla stessa, umanissima esperienza: un certo sconcerto di fronte alla realtà, la percezione di un limite invalicabile oltre il quale non riescono ad arrivare né la nostra percezione, né il nostro linguaggio.
Da parte sua l’Ecclesiaste rimane sbalordito di fronte all’immagine di una realtà che, davanti al nostro umano sguardo, appare come un eterno e continuo ciclo di arrivi e partenze, dove non muta mai realmente lo scenario della natura e il corso della storia.
Per descrivere lo stato d’animo che questo spettacolo suscita nel cuore, il sapiente d’Israele ricorre a un’immagine divenuta celebre: «Soffio, assoluto soffio» — tradotta nella versione latina (e poi in quella italiana) senza una piena fedeltà all’originale ebraico: «Vanità delle vanità». La realtà è un soffio, vapore intangibile e inconsistente, sfuggente al nostro controllo e alle nostre pianificazioni. Si solleva, spontanea, la domanda:
L’atteggiamento di Erode — che certo non si propone nei vangeli come modello di apertura al mistero di Dio — segnala una strada che tutti siamo invitati a percorrere. Il vangelo dice che pur non sapendo cosa pensare di Gesù, «cercava di vederlo» (Lc 9,9). Se la realtà è un luogo dove i segni della presenza di Dio si mescolano a quelli della sua assenza, dove la monotonia e la ciclicità sembrano strappare la speranza che l’oggi possa essere nuovo e il domani migliore, l’unica arte che rimane al discepolo è quella di incuriosire il cuore e spalancare gli occhi.
Il re Erode, però, pur sentendo evocare la risurrezione, resta prigioniero di uno sguardo di morte, perché la sua ricerca non è accompagnata dalla disponibilità a cambiare, a perdere il controllo. Per questo non riesce a scorgere l’assoluta novità di Dio in Gesù. È quello che anche noi rischiamo, immersi in una cultura tutta bramosa di novità, ma poco assetata di verità. Suo malgrado spenta, annoiata, triste. A fare nuove le cose è Dio con il suo amore. A noi però resta sempre la bella responsabilità di aguzzare l’appetito. Mettere al collo dei desideri un generoso tovagliolo. Ecco, questa è — sicuramente — una novità!
In quel tempo, il tetràrca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti
e non sapeva che cosa pensare [...] (Lc 9,7)
Una generazione se ne va e un’altra arriva, ma la terra resta sempre la stessa.
Il sole sorge, il sole tramonta e si affretta a tornare là dove rinasce (Qo 1,4-5)
Quale guadagno viene all’uomo
per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole? (1,3)
«C’è forse qualcosa di cui si possa dire: “Ecco, questa è una novità”» (1,10)
Il re Erode, però, pur sentendo evocare la risurrezione, resta prigioniero di uno sguardo di morte, perché la sua ricerca non è accompagnata dalla disponibilità a cambiare, a perdere il controllo. Per questo non riesce a scorgere l’assoluta novità di Dio in Gesù. È quello che anche noi rischiamo, immersi in una cultura tutta bramosa di novità, ma poco assetata di verità. Suo malgrado spenta, annoiata, triste. A fare nuove le cose è Dio con il suo amore. A noi però resta sempre la bella responsabilità di aguzzare l’appetito. Mettere al collo dei desideri un generoso tovagliolo. Ecco, questa è — sicuramente — una novità!
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