RIVESTITI

Giovedì – XX settimana del Tempo Ordinario
È già profondamente consolatorio sentire il profeta rivolgere incalzanti promesse da parte di Dio nelle quali noi siamo splendidi bersagli e non soggetti chiamati a divine prestazioni. Così abituati a metterci al centro, così assuefatti al costume di caricarci pesi assurdi sulle spalle, non sappiamo più nemmeno immaginare cosa voglia dire una vita — magari un giorno — di cui non dobbiamo essere i tragici e frustrati protagonisti. Con estrema libertà, il profeta si fa interprete delle meravigliose intenzioni di Dio. 

«Vi prenderò dalle nazioni, vi radunerò da ogni terra e vi condurrò sul vostro suolo. 
Vi aspergerò con acqua pura e sarete purificati; 
io vi purificherò da tutte le vostre impurità e da tutti i vostri idoli» (Ez 36,24-25)

La scrittura profetica non vuole negare il fatto che la vita sia affidata (anche) alle nostre mani — verità che mai dovremmo scordare, specialmente in questo nostro tempo superficiale e depresso. Ma le nostre mani hanno garanzia di operare secondo il vangelo soltanto nella misura in cui sono mani che restituiscono. Mani che collaborano con la creazione, senza fraintendimento di ruoli. Facendo riferimento al regno dei cieli mediante la metafora nuziale, il Signore Gesù si inserisce perfettamente in questa riflessione. 

«Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio.
Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze [...]» (Mt 22,2-3)

Gli invitati a nozze hanno certo alcune — non trascurabili — responsabilità: prepararsi con cura, scegliere l’abito adatto, partecipare attivamente alla preparazione e ai festeggiamenti, ecc. Ma restano, pur sempre, invitati. Non da loro dipende la realtà delle nozze. La parabola evangelica afferma che dipende da noi solo l’accoglienza di un simile invito. E non è così scontato che sia favorevole. Mancanza di voglia, di tempo, di disponibilità: ecco i motivi per cui tutti i servi che proclamano il bando delle nozze vengono respinti, rifiutati, persino uccisi. Questa, in fondo, è la banalità del male: l’inutile e assurdo tentativo di salvare una vita autocentrata. Tutto diverso è l’agire di Dio.

«Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, 
e la sala delle nozze si riempì di commensali» (22,10)

La sala — il sogno — di Dio è colma di cattivi e buoni. Potrebbe bastare questo particolare a ricordarci la bella notizia che la vita non è uno sforzo per diventare buoni. È un allenamento a indossare l’abito nuziale. L’unico vero compito degli invitati a nozze. Nella carne — e nel sangue — di Cristo è finita per sempre la distinzione tra buoni e cattivi. Resta quella tra chi si lascia rivestire di grazia e chi pretende ancora di poter scegliere, dal proprio guardaroba, un bell’abito da esibire. Tra chi si lascia cambiare da dentro e chi ancora non riesce ad acconsentire a questa stupenda trasformazione. 

«Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, 
toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne» (Ez 36,26)

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