CORDE D'AMORE

Giovedì – XIV settimana del Tempo Ordinario
Il profeta Osea è inviato dal Signore a rivolgere parole scomode, terribilmente amare al suo popolo. Se è penoso notificare a qualcuno un peccato o una grave omissione, è piuttosto doloroso dovergli anche annunciare il decadimento da un certo rapporto d’amore. Le cui conseguenze si sono rivelate contrarie a ogni desiderabile aspettativa.

«Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio.
Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me» (Os 11,1-2)

Quando volte — per esempio da piccoli — abbiamo lasciato senza alcuna risposta le parole di chi ci stava chiamando. Magari per dirci che il pranzo era pronto. Oppure per rivolgerci un invito. Altre volte per ammonirci o esortarci a entrare in una vita più grande. Ma la delusione di Dio di fronte all’immaturità e all’egoismo del suo popolo è grande perché il ricorso agli idoli, in realtà, segnala l’incomprensione dell’amore, non il mancato rispetto di una regola.  

«A Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, 
ma essi non compresero che avevo cura di loro» (11,3)

Eppure il Signore non riesce a sfogare la sua ira contro l’infedeltà di Israele. Questo — dice il profeta — è quanto l’uomo è solito fare, spesso senza nemmeno averne alcun (presunto) diritto. Il legame costruito pazientemente da Dio con la nostra umanità è solido perché radicato in uno slancio di tenerezza e di dedizione irrefrenabili. Come quello di un padre che non può più immaginare la sua esistenza senza aver prima fatto il possibile — e anche l’impossibile — affinché la sua creatura possa nutrirsi e crescere. 

«Io li traevo con legami di bontà, con “corde d’amore”, 
ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, 
mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. 
Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione» (11,4.8)

Sono gli stessi sentimenti che il Signore Gesù non trattiene più per se stesso, ma partecipa ai suoi apostoli. Nella raccomandazione di restare sobri e leggeri per poter annunciare la vicinanza del Regno — con tutte le sue terapeutiche conseguenze — possiamo cogliere un profondo invito a puntare tutto sulla relazione. Gesù esorta i discepoli a imitare il Dio che prender per mano e accarezza, affinché la pace fiorisca e costruisca un’umanità nuova. E a non turbarsi davanti al rifiuto o all’indifferenza. La compassione che muove i passi verso i fratelli è una forza ostinata — una corda d’amore — che non abbandona mai chi cammina nel nome del Signore. 

«Se quella casa ne è degna, la vostra pace scenda su di essa; 
ma se non ne è degna, la vostra pace ritorni a voi» (Mt 10,13)

Commenti