ARDERE

Mercoledì – XV settimana del Tempo Ordinario
Dopo aver rivolto un duro rimprovero alle città supponenti (vangelo di ieri), che non si sono convertite alla notizia del vangelo, il Maestro Gesù compie un gesto inatteso. Anziché chiudersi in un raccolto silenzio, o riprendere il suo cammino, decide di fermarsi per alzare gli occhi al cielo e benedire Dio.

«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, 
perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli» (Mt 11,25)

All’indifferenza di chi vive arroccato in ciò che già sa — o crede si sapere — il Signore contrappone la splendida disponibilità dei «piccoli», degli umili, di coloro che hanno un cuore disposto a farsi guidare e ammaestrare, un cuore capace di ascolto. Elogiando la piccolezza, Gesù non vuole né strizzare l’occhio all’infantilismo, né biasimare l’attività di studio o di erudizione, con cui l’uomo penetra il mistero della realtà e contribuisce alla sua elaborazione culturale. La piccolezza che apre l’accesso alla rivelazione di Dio non è tanto un “rimanere” dentro una piccola misura, quanto un “diventare” consapevoli dei propri limiti per accedere — proprio attraverso di essi — a una misura più grande. Un cuore piccolo è un centro interiore così mite e disponibile da saper vivere al meglio ogni relazione, soprattutto quella con Dio.

«Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, 
e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (11,27)
Quante volte dimentichiamo questa splendida e liberante realtà — che viviamo di vita ricevuta — e cadiamo nella grande trappola, nella sottile tentazione di pensare che la maggior parte delle cose che ci accadono, in fondo, dipende da noi. Come fa l’Assiria — nel linguaggio immaginifico della profezia — inconsapevole di essere solo uno strumento nelle mani di Dio e non una potenza che gode di vita propria. Le parole di Isaia non lasciano scampo a questa sciocca vanità che ci pervade quando le cose vanno bene. 

«Può forse vantarsi la scure contro chi se ne serve per tagliare
o la sega insuperbirsi contro chi la maneggia?
Come se un bastone volesse brandire chi lo impugna
e una verga sollevare ciò che non è di legno! (Is 10,15)

Contro questa presunzione del cuore ci sono poche medicine. Anzi, una sola: la lode che apre il nostro sguardo a un orizzonte più grande. Quello in cui c’è Dio e, quindi, ci sono anche gli altri. Dove le cose che non capitano e quelle che non arrivano cessano di essere autorizzazioni firmate alla tristezza o alla collera, ma decisioni da accettare umilmente di fronte al Dio che non nasconde mai se non per rivelare cose più grandi, certe e vere. Quel Dio che fa ardere sempre la sua salvezza sotto il mistero della nostra vita. Affinché la brace dell’amore mai si spenga.

«Sotto ciò che è sua gloria arderà un incendio come incendio di fuoco» (10,16)

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