LA TRAVE NELL'OCCHIO

Lunedì – XII settimana del Tempo Ordinario
L’insegnamento di Gesù riguardo alla necessità di sospendere il giudizio sul nostro prossimo è, giustamente, divenuto celebre e centrale nella fede cristiana. Nella sua semplice e radicale formulazione si è imposto, per generazioni di discepoli, come l’imprescindibile monito per non correre il rischio di considerare gli altri sempre così lontani dalla verità e peggiori di quello che noi crediamo di essere.  

«Non giudicate, per non essere giudicati; 
perché con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi» (Mt 7,1-2)

A conti fatti, si tratta di un’esortazione piuttosto conveniente e condivisibile. Il Maestro non ci propone l’adesione a una condotta generosa per qualche finalità estrinseca al nostro esistere. Piuttosto ci invita a offrire quel tipo di sguardo che, in fondo, non vediamo l’ora di ricevere. Soprattutto quando temiamo di meritarne uno di condanna o di castigo. Eppure facciamo così fatica a riporre nel fodero la spada affilata del giudizio. Non perché cattivi, ma perché così poco abituati a lasciarci medicare e correggere.   

«Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, 
e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?» (Mt 7,3)

L’immagine scelta dal Signore Gesù è talmente nota che facciamo forse fatica ad applicarla a noi. Eppure quante volte vediamo qualcosa senza accorgerci di qualcos’altro, ben più rilevante e pertinente alla situazione che stiamo vivendo. Precipitarsi a salvare quel mondo che non siamo noi è, sempre, l’istinto che assecondiamo per non dedicare del tempo a entrare in noi stessi per permettere alla grazia di Dio di liberarci da ciò che ci ha ferito e ora ci impedisce di vedere la realtà. Preferiamo apparire premurosi e attenti, scivolando nella più brutta forma di ipocrisia: sembrare buoni anziché amare. 

«O come dirai al tuo fratello: “Lascia che tolga la pagliuzza dal tuo occhio”, 
mentre nel tuo occhio c’è la trave? Ipocrita!» (Mt 7,4)

Certo, non possiamo forzare il nostro sguardo a maturare improvvisamente visioni più autentiche della realtà. Occorre attendere che il nostro cuore cambi, lentamente, il nostro modo di vedere gli altri e le cose. Perché l’amore ha un ritmo lento. Tuttavia non dobbiamo dimenticarci che possiamo smettere di giudicare il nostro prossimo e iniziare a giudicare seriamente la nostra cecità solo nella misura in cui prestiamo fede a Dio. Scelta mai priva di grandi conseguenze sulla realtà. Restare chiusi, infatti, nell’ipocrisia del giudizio significa non credere al Signore. 

Ma essi non ascoltarono, anzi resero dura la loro cervice, come quella dei loro padri,
i quali non avevano creduto al Signore, loro Dio (2Re 17,14)

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