HABEMUS PATRIAM

Ascensione del Signore – Anno A
Gesù se ne va. Il Verbo di Dio ascende al cielo. E a noi che rimane della sua splendida vittoria pasquale? Per accedere alla «santa gioia» (cf. colletta) nascosta e contenuta nella festa dell’Ascensione del Signore Gesù, ogni anno dobbiamo compiere un cammino per nulla scontato attraverso le Scritture che ci raccontano questo grande mistero. 

Perché?
Ma non era più utile che il Risorto rimanesse nel caos e nel tumulto della realtà umana? Non sarebbe stata una storia diversa la nostra, se Cristo «dopo la sua passione» avesse continuato a mostrarsi «vivo, con molte prove», continuando a parlarci «delle cose riguardanti il regno di Dio» (At 1,3)?! Non lo sappiamo. Possiamo però immaginare che sarebbe stata una storia meno libera, meno adulta perché meno responsabile. La vita della chiesa, raccontata negli Atti degli Apostoli, si apre proprio con l’uscita di scena di Gesù dal palcoscenico della storia, attraverso il ricordo dell’Ascensione, che il Signore compie di fronte allo sguardo trasognato dei suoi discepoli. Prima di questo definitivo viaggio, il Figlio di Dio diventato uomo offre un ultimo annuncio, un’estrema precisazione: «Sarete battezzati in Spirito Santo» (1,5), «riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra» (1,8). Mentre il Maestro si allontana, annuncia la venuta di una nuova e sconvolgente presenza di Dio nell’umanità. Una presenza capace di estendere i suoi confini fino alle estremità della terra. Il primo significato dell’Ascensione è che ora tocca a noi, perché il Signore, dopo aver donato «il perfetto compimento di tutte le cose» (Ef 1,23), se ne è andato. Per sempre. È del tutto inutile restare «a guardare il cielo» (At 1,11) col naso all’insù, imbambolati e impauriti. L’avventura del vangelo continua sulla terra. Tra polvere e cielo. Nella penombra di una storia ormai salva perché abbracciata dall’amore infinito di Dio, eppure ancora tutta affidata alla nostra libertà.

Tocca a noi
Prima di consegnare ai discepoli questa grande sfida, il Maestro «aveva loro indicato» (Mt 28,16) un luogo di appuntamento: i monti della Galilea, le sponde verdi e soleggiate della Palestina dove per anni essi avevano scoperto e coltivato la gioia e la passione per il Regno. Qui Gesù decide di apparire loro, senza imporre la sua presenza in modo schiacciante: «Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono» (28,17). Il Signore non si impone, ma non ha paura di proporre, anzi di rilanciare, l’avventura dell’evangelizzazione: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato» (28,18-20). In questo episodio, raccontato dal primo evangelista, si nasconde un altro significato dell’Ascensione molto importante per noi. Il Signore è asceso al cielo, affinché qui sulla terra noi possiamo essere — e diventare — fino in fondo il volto del suo amore e il luogo dove si rivela l’immagine dell’amore trinitario. Non a partire da una fede ostentata perché granitica e inossidabile. Ma proprio a partire da quella fede critica e dubbiosa, a cui si rivolge la voce del Risorto. 

Con noi

Proprio noi, infatti, siamo chiamati a fare una cosa immensa e semplicissima: amministrare il «potere» di Cristo, che si esprime anzitutto nel far diventare tutti discepoli. A noi tocca di poter annunciare a ogni persona la libertà di poter apprendere la vita da un Maestro, di non dover essere — almeno davanti a Dio — sempre all’altezza e adeguati. E poi di mostrare il volto di un Dio che non è autorità o paternalismo, ma armoniosa relazione: Padre, Figlio e Spirito Santo. Infine di proclamare senza paura che è possibile osservare la parola del vangelo nella misura in cui si è e ci si sente amati fedelmente, dentro e oltre ogni personale contraddizione. Questo è il bellissimo compito affidato a ogni battezzato: diffondere ovunque il volto di Dio, condurre le cose verso la loro bellezza, favorire l’incontro con l’amore di Cristo, insegnare a vivere in obbedienza a uno Spirito di verità e di libertà, promuovere il senso di giustizia, di solidarietà di fratellanza. Sapendo che in questa meravigliosa avventura non siamo mai soli: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (28,20).  E che tutti siamo incamminati verso lo stesso Padre, la stessa patria e gli stessi doni: habemus Patrem, habemus patriam, habemus patrimonium (sant’Agostino). Lo aveva capito bene una straordinaria discepola di Cristo vissuta nel secolo scorso, testimone di quanta umile fierezza il mistero dell’Ascensione possa dare a una vita che si abbandona alla radicalità del vangelo: «Noialtri, gente della strada, crediamo con tutte le nostre forze che questa strada, che questo mondo dove Dio ci ha messi è per noi il luogo della nostra santità. Noi crediamo che niente di necessario ci manca, perché se questo necessario ci mancasse Dio ce lo avrebbe già dato» (M. Delbrel).

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