ADDORMENTARSI NELL'AMORE

Giovedì – XI settimana del Tempo Ordinario
Con le sue immagini ardenti e i suoi toni netti, la liturgia della Parola di oggi è come un balsamo per purificare il nostro cuore dagli inganni e dalle illusioni. L’elogio che il Siracide tesse al grande profeta Elia è tutto scandito dall’immagine del fuoco, assunto come elemento rappresentativo di tutta la sua vita e cifra del suo ministero profetico. Persino l’epilogo della sua avventura in questo mondo è stato accompagnato dall’apparire di questo elemento della natura, quasi a significare che una vita consumata dall’amore non può che essere dall’amore, infine, assunta. 

«Tu sei stato assunto in un turbine di fuoco, su un carro di cavalli di fuoco» (Sir 48,9)

Di fronte a questo appassionato testimone, Ben Sira annota una curiosa reazione in coloro che ne hanno potuto contemplare l’appassionata esistenza. Non si tratta né di venerazione, né di sgomento, ma di una particolare felicità, descritta come la possibilità di riposarsi a causa dei segni — visibili — dell’amore. 

«Beati coloro che ti hanno visto e si sono addormentati nell’amore» (48,11)

Animato forse dal desiderio che i suoi discepoli siano incamminati verso un orizzonte di pace e di gioia almeno simile a quello descritto dal Siracide, il Signore Gesù prende la parola per spiegare che l’ingresso nella verità della preghiera corrisponde, anzitutto, alla rinuncia di un certo modo di essere davanti a Dio. Quello di chi, in fondo, pensa ancora di essere lontano o estraneo a una misericordiosa attenzione nei suoi confronti. 

«Pregando, non sprecate parole come i pagani: 
essi credono di venire ascoltati a forza di parole.
Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa 
di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6,7-8)

Purificare la preghiera dagli eccessi verbali è scuola di pazienza e di umiltà. Ci educa a credere che molta della felicità che andiamo cercando, in realtà, ci sta già aspettando da qualche parte. Se ne avvertiamo la mancanza è solo perché le nostre vie sono ancora troppo lontane da quelle su cui Dio desidera farci camminare. Pregare il Padre con poche parole significa imparare a rimanere docilmente davanti alla sua volontà, nell’attesa che diventi presto anche la nostra. Nella fiducia che i nostri desideri verranno ascoltati non a forza di parole, ma con parole forti di speranza. Quelle sobrie, sincere, cordiali, che un figlio rivolge con naturalezza al suo babbo. Quello che seppelliscono incubi e paure, ma tengono accese le fiaccole dei veri sogni. E ci fanno addormentare, sempre, nell’amore. 

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