LIBERI DALL'INDIPENDEZA

Mercoledì – V settimana del Tempo di Quaresima
La liturgia di oggi è dominata da una delle parole di Gesù più belle e affascinanti tra quelle che i vangeli hanno trascritto e consegnato alla contemplazione delle generazioni cristiane di ogni epoca e luogo. 

Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli;
conoscerete la verità e la verità vi farà liberi (Gv 8,32)


Davanti questa sublime proposta, che annuncia un esodo verso piena libertà, i Giudei — proprio quelli che gli hanno creduto e lo seguono — hanno un’indignata reazione di disappunto.

Noi siamo discendenti di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno.
Come puoi dire: “Diventerete liberi?” (8,33)

Quest’amara replica lascia intendere quale sia il problema di fondo avvertito da quanti, pur avendo cominciato a credere in Gesù, a un certo punto si trovano a puntare i piedi di fronte all’orizzonte di radicalità spalancato dai suoi insegnamenti. Non è certo la proposta di emancipazione a sconcertare l’uditorio, ma il fatto che tale condizione appaia come l’esito di un lungo e graduale processo. Forse dovrebbe turbare anche noi, il pensiero che la libertà non sia tanto qualcosa che abbiamo, ma un cammino inesausto che siamo chiamati a portare avanti con pazienza, attraverso l’ascolto della parola di Dio. La fede, infatti, non ha nulla a che vedere con la magia, che promette di cambiare la vita in un istante. La fede è dialogo, relazione, accoglienza e dono, rapporto vivo con il Creatore di tutte le cose. Questo è il vero scandalo: non esiste libertà fuori da un rapporto di relazione autentica. 

Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero (8,36)

Il Primo Testamento ci offre una bella immagine di libertà attraverso quei tre giovani israeliti, dai nomi — ammettiamolo — abbastanza impronunciabili, che vengono gettati nella fornace ardente, perché in terra d’esilio si rifiutano di adorare le divinità babilonesi. Nell’inferno di insopportabili fiamme, però, rimangono illesi. Addirittura sereni. Grazie a una parola di verità, udita e creduta, rimasta salda nei loro cuori.

Ma l’angelo del Signore, che era sceso con Azarìa e con i suoi compagni nella fornace,
allontanò da loro la fiamme dal fuoco della fornace e rese l’interno della fornace 
come se vi soffiasse dentro un vento pieno di rugiada. 
Così il fuoco non li toccò affatto, non fece loro alcun male, 
non diede loro alcuna molestia (Dn 3,49-50)

Il segreto della loro fedeltà non consiste in una speciale forza di volontà o in un impavido coraggio di cui erano provvisti. Si radicava piuttosto nell’abitudine — maturata certamente nel tempo — di non considerare la propria vita come una libertà assoluta, ma come il frutto di una relazione che, nel momento cruciale, non può deludere perché, già al presente, è vissuta e percepita senza alcuna delusione. 

Noi non abbiamo bisogno di darti alcuna risposta in proposito;
sappi però che il nostro Dio, che serviamo, 
può liberarci dalla fornace di fuoco ardente e dalla tua mano, o re.
Ma anche se non ci liberasse, sappi, o re, che noi non serviremo mai i tuoi dèi 
e non adoreremo la statua d’oro che tu hai eretto (3,16-18)

Commenti