RADICATI DOVE?

Giovedì – II settimana del Tempo di Quaresima
Durissima è la critica che oggi il profeta rivolge a chi fonda la propria vita sulle illusioni, all’uomo che crede di poter appoggiare il mistero della vita sull’apparente solidità delle cose di questo mondo e sovrastima il valore delle proprie forze. 

Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, e pone nella carne il suo sostegno, 
allontanando il suo cuore dal Signore. 
Sarà come un tamerisco nella steppa; non vedrà venire il bene (Ger 17,5-6)

Riesce difficile immaginare che la nostra vita possa, deliberatamente, orientarsi verso questo scenario di morte e solitudine. Eppure la parabola del fin troppo celebre “ricco epulone” conferma come e quanto sia possibile procedere nell’inganno di un individualismo cieco, disattento ai bisogni di quanti giacciono — forse bussano — alla nostra porta. 

C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo,
e ogni giorno si dava a lauti banchetti.
Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe,
bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco;
ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe (Lc 16,19-21)

Colpisce il riferimento a quella porta di casa tragicamente chiusa, segno di un cuore sigillato e indurito. Spesso ci illudiamo di non dover continuamente aprire la porta delle nostre relazioni, di poter fare a meno di essere totalmente presenti nelle cose che facciamo, nelle parole che pronunciamo, nei modi con cui incontriamo e accogliamo l’altro. Così iniziamo a risparmiarci, a regalarci a metà, ritagliando spazi di individualismo che poi diventano praterie di solitudine. La parola del vangelo ci annuncia che queste distanze tra noi e gli altri, che un giorno potrebbero diventare un grande abisso, per il momento sono percorribili. 

Benedetto l’uomo che confida nel Signore e il Signore è la sua fiducia.
È come un albero piantato lungo un corso d’acqua, verso la corrente stende le radici;
non teme quando viene il caldo, le sue foglie rimangono verdi, 
nell’anno della siccità non si dà pena, non smette di produrre frutti (Ger 17,7-8)

Niente è ancora definitivo. Occorre però chiederci seriamente dove affondano le nostre radici. Ricordare che da esse dipende drasticamente la qualità e la quantità dei frutti che appaiono sui nostri rami. Ed, eventualmente, volgerle altrove. Senza aspettare che sia il segno di una risurrezione dei morti a convincerci. Permettendo invece l’insurrezione del meglio che in noi attende di venire alla luce. 



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