PERCHÉ DIGIUNARE?

Venerdì dopo le ceneri – Tempo di Quaresima
Oggi togliamo un po’ di cibo dalle nostre mense. Siamo invitati al digiuno per convertire il nostro cuore a Dio. Lo facciamo volontariamente, seriamente e serenamente, affinché dentro di noi si ridesti un’altra fame, il desiderio di giustizia e di bene, del volto del Padre e di quello dei fratelli. 

«Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso.
È forse come questo il digiuno che bramo, 
il giorno in cui l’uomo si mortifica?» (Is 58,4-5)

La parola sferzante del profeta si riferisce a quel modo superficiale di compiere gesti religiosi senza alcuna armonia con il vissuto quotidiano, che magari continua a essere distante dalla giustizia, dalla verità e dalla misericordia. Infatti, molte delle cose che facciamo — non solo i gesti di mortificazione — assomigliano proprio a un inutile sacrificio. Non perché siano del tutto privi di una qualche generosità, ma perché nascono da un vuoto e dalla tristezza che lo divora. Diventano allora luminose le parole che il Signore Gesù pronuncia nel vangelo.

«Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto 
finché lo sposo è con loro?» (Mt 9,15)

In Quaresima siamo invitati a verificare con sincerità e coraggio se e quanto stiamo imparando a vivere dell’amore di Dio o invece quanto stiamo ancora tentando di meritarcelo. Ci sono segni inequivocabili che mostrano quanta carità ricevuta sia nel nostro cuore: l’attenzione e la premura nei confronti dei fratelli, la disponibilità a perdonare e andare oltre le offese e le percosse. Proprio in questi ordinari e silenziosi atti d’amore si esprime il senso del digiuno gradito al Signore.

«Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:
sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, 
rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?» (Is 58,6)


L’astinenza dal cibo a cui la Quaresima ci richiama è una pratica antica e seria, da non barattare troppo velocemente con altre forme di privazione (dalla televisione e dei pettegolezzi, dallo smartphone e da Internet) che, seppure necessarie oggi, non ci toccano così in profondità come può fare invece il rapporto con l’alimentazione del corpo. Semmai, la mortificazione degli appetiti deve diventare il segno di quella più importante sottrazione di pesi e ingiustizie dalle spalle dei nostri fratelli che ci incarichiamo di compiere attraverso una maggior cura nei loro confronti. La parola del profeta ci assicura che c’è una «ferita» aperta, che sanguina nel nostro cuore, ma «si rimarginerà presto» (58,8), se diamo retta al desiderio di amare, donare e servire, nascosto come fame profonda nella verità di noi stessi. 

Commenti