BELLO PER NOI

II Domenica – Tempo di Quaresima (Anno A)
Siamo entrati nel deserto della quaresima insieme al Signore Gesù per incontrare le nostre tentazioni e, guidati dallo Spirito, per affrontarle a viso aperto. Abbiamo accolto l’invito a dedicare un parte del nostro tempo per gettare qualche luce nelle ombre della nostra vita. Attraverso la preghiera, il digiuno e la carità ci siamo regalati un’occasione per separarci dagli inganni che, sempre, tentano di sedurre il nostro cuore: la tentazione di farci possedere dai nostri bisogni, di impadronirci degli altri, di piegare la volontà di Dio ai nostri progetti. Un programma intenso e, in certo senso, proibitivo, se non fosse che... «è bello» (Mt 17,4). Troppo bello!

In disparte
Il Maestro Gesù decide di salire su un «alto monte», per dedicarsi a una preghiera più raccolta e profonda. Prende con sé alcuni discepoli, «Pietro, Giacomo e Giovanni» (17,1). In Galilea — duemila anni fa come oggi — i posti per raccogliersi in preghiera sono offerti in abbondanza dalla natura ospitale e verdeggiante. Non c’è bisogno di grandi spostamenti o avventurose arrampicate per fare silenzio e ritrovarsi a tu per tu con il Dio invisibile. Eppure il Maestro sente il bisogno di salire in cima a un monte alto per avere un incontro speciale con il Padre suo. Ecco, nell’avvio del vangelo c’è già un richiamo indispensabile per portare avanti la nostra conversione. La nostra preghiera ha bisogno — almeno di tanto in tanto — di compiersi «in disparte» (17,1), nel silenzio e nella solitudine. È vero che la vita cristiana è un’esperienza di comunione che ci spinge a costruire rapporti fraterni con gli altri e con il mondo. Ma è altrettanto vero che ciascuno di noi ha un rapporto unico e personale con Dio, e porta nel cuore il desiderio di conoscere il suo mistero di amore. Come esiste una dimensione comunitaria della vita cristiana, così ne esiste pure una personale che è imprescindibile per ogni battezzato. Il bisogno di una preghiera raccolta e profonda nasce dal fatto che solo Dio conosce in verità il nostro volto e solo dentro una certa intimità può rivelarci il suo. Questo è il segreto che conoscono tutte le persone legate da un vincolo di amore: amarsi vuol dire, talvolta, incontrarsi nell’intimità. Volto a volto. Cuore a cuore.

Trasfigurato
Restare in solitudine non è esperienza facile. La nostra società, che misura ogni cosa in termini di efficacia e di tornaconto, certo non ci aiuta molto a coltivare spazi di meditazione e di preghiera. Ma il vangelo stuzzica il nostro desiderio raccontandoci che, proprio in un momento tranquillo e in un luogo appartato, i discepoli di Cristo vivono un’esperienza davvero unica. Mentre il Signore Gesù si trovava con i suoi amici sul monte «fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui» (17,2-3). Sorpreso da tanta meraviglia, Pietro a nome di tutti esclama: «Signore, è bello per noi essere qui» (17,4). Il frutto più prezioso che riceviamo dall’intimità con Dio è proprio la presa di coscienza di quanto sia splendido stare con lui e immergersi nella sua vita. Molti peccati e disobbedienze di cui siamo responsabili nascono proprio da un imbruttito ricordo di Dio e della sua volontà. Non siamo cattivi, ma ci manca il ricordo della bellezza di Dio, l’intuizione della sua alterità. I discepoli, sul monte, si trovano proprio di fronte alla manifestazione improvvisa di quella luce che rivela la divinità nascosta nel loro Maestro. Se la quaresima non può cominciare senza la nostra disponibilità a metterci un po’ in discussione, è altrettanto vero che non può neppure continuare senza l’intuizione di quanto bello sia Dio, quanto valga la pena stare con lui.

Trasfigurati
Recuperare un’idea grata e felice di Dio è quanto di più urgente ci serve, per avere la forza di obbedire a Cristo, per fidarci dei suoi insegnamenti, per mettere la nostra vita dietro ai suoi passi, come la voce del Padre invita a fare: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo»  (Mt 17,5). Finché il nostro cuore non è convinto e affascinato dalla parola del vangelo, noi vivremo la nostra fede come il tentativo di rispettare regole e norme, pensando a Dio più come un insieme di istanze etiche che come un volto bellissimo da adorare, conoscere e imitare. Soltanto un’esperienza gioiosa e contenta di Dio può riaccendere il meccanismo della nostra conversione, e proiettarci verso una vita ad alto profilo. Poiché a noi cristiani «è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità» una «vocazione santa»: la «grazia» (2Tm 1,9) di poter soffrire — «con la forza di Dio» — «per il vangelo» (1,8). Cioè di poter accogliere nella nostra vita il mistero della croce, partecipando all’opera del nostro Maestro e Signore, il quale «ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita» (1,10). La stessa cosa accadde ad Abramo, nostro padre nella fede. Un giorno il Signore lo chiamò a mettere in discussione ogni punto di riferimento acquisito, per andare verso una terra che gli sarebbe stata indicata. Abramo «partì, come gli aveva ordinato il Signore» (Gen 12,4) perché troppo bella era la promessa: «Farò di te una grande nazione e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e possa tu essere una benedizione» (Gen 12,2). La conversione non è qualcosa che noi dobbiamo fare — come vorrebbe Pietro che chiede a Gesù: «se vuoi farò qui tre capanne...» (Mt 17,4) — ma qualcosa che Dio fa in noi, nella misura in cui ci lasciamo affascinare dalla sua voce e dai suoi progetti. Per divenire anche noi, umilmente, luce del mondo. 

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