CONDOTTI FUORI

Mercoledì – VI settimana del Tempo Ordinario
Le letture di oggi convergono nel dirci che il nostro cammino, come uomini e come credenti, è soprattutto un problema di occhi. Nell’immagine del cieco condotto da Gesù e, in disparte, guarito dalla sua compassione, possiamo riconoscere un itinerario di cui tutti abbiamo estremo bisogno, per poter vedere meglio la realtà.

Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e,
dopo avergli messo della saliva sugli occhi,
gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?» (Mc 8,23)

Stranamente, il gesto di Gesù non sembra risolvere definitivamente il problema. Il cieco riacquista una certa capacità di vedere le cose, ma in modo sfuocato e impreciso. Si rende necessario un secondo intervento, quasi identico al primo.

Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente,
fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa (8,25)

La lettera di Giacomo illumina il mistero di questo itinerario terapeutico, affermando che la guarigione del nostro modo di vedere la realtà non consiste nel gettare semplicemente lo sguardo verso l’immagine della salvezza — con il rischio che sia solo un superficiale e sterile autocompiacimento — ma nel mantenere questo sguardo stabile, fino a riconoscersi pienamente coinvolti nella libertà del vangelo. Fuori metafora, si tratta di non limitarsi ad ascoltare le belle cose che la Parola ci annuncia, ma ad acconsentire la loro traduzione nei fatti della nostra vita. 

Se uno ascolta la Parola e non la mette in pratica,
costui somiglia a un uomo che guarda il proprio volto allo specchio:
appena si è guardato, se ne va, e subito dimentica come era (Gc 1,23-24)

Uno dei modi con cui siamo soliti restare impermeabili ai dinamismi della grazia e alla concretizzazione della Parola è non saper prendere distanza da noi stessi, quando ci sentiamo in diritto di avercela con qualcuno e diamo sfogo ai sentimenti di rabbia e di collera che ci abitano. 

Lo sapete, fratelli miei carissimi: ognuno sia pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira.
Infatti l’ira  dell’uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio (1,19-20)

In fondo l’ira è una forma clamorosa di cecità davanti alla complessità del reale, dove la nostra esistenza è immersa e mescolata con quella degli altri. E dove le cose appaiono nella loro verità solo quando ciascuno è disposto lasciarsi condurre fuori dai soliti sguardi, per osservare le cose a una certa distanza. Quella che consente di scorgere davanti a noi non i colpevoli, ma i fratelli bisognoso, ai quali possiamo tendere una mano. 

Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa:

visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo (1,27)

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