COSTRUIRE

Mercoledì – III settimana del Tempo Ordinario
Le parole che il profeta Natan sente di dover rivolgere a Davide sono un’ottima porta d’ingresso alla liturgia di oggi. Mentre l’umile e intrepido re d’Israele sta meditando di costruire a Dio una dimora (2Sam 7,1-4), mosso dal desiderio di offrire alla sua presenza in mezzo al popolo una premurosa custodia e un segno decoroso di riconoscimento, viene raggiunto da un annuncio che lo costringe e vedere le cose in tutt’altro modo.

«Forse tu mi costruirai una casa, perché io vi abiti? 
Io infatti non ho abitato in una casa da quando ho fatto salire Israele dall’Egitto fino ad oggi; 
sono andato vagando sotto una tenda, in un padiglione.
[...] Il Signore annuncia che farà a te una casa» (2Sam 7,5-6.11)

Il proposito di Davide è generoso ma nasconde un veleno. Dentro il progetto di confinare Dio dentro un ben preciso spazio si nasconde una duplice tentazione. Da un lato quella di circoscrivere la sua presenza — scelta non ambigua solo quando sarà Dio a farla nel mistero dell’incarnazione — e dall’altra quella di pensare che egli abbia in qualche modo bisogno che noi facciamo qualcosa. Per lui, ma in fondo anche per noi stessi. 

«Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare [...]
Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: 
spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno» (Mc 4, 2.8)

La parabola del seminatore ha lo scopo di mettere in pausa le ansie di controllo e di prestazione con cui facciamo quotidianamente i conti. Quando la Parola di Dio entra in noi, non dobbiamo né dubitare, né verificare la sua efficacia con i nostri occhi e le nostre piccole misure. Piuttosto vale la pena cercare di riconoscere quello che nella nostra terra può ostacolare la crescita del seme, dando un nome preciso ai nostri peccati: superficialità, quando Satana viene nel nostro cuore «e porta via la parola seminata» (Mc 4,15); incostanza, quando ci abbattiamo «al sopraggiungere di qualche tribolazione» (Mc 4,17); stupida bramosia, quando «le preoccupazioni del mondo e l’inganno della ricchezza» (Mc 4,19) riescono a dominarci. Forse nessuno di noi è ancora «terreno buono» (Mc 4,20), eppure tutti cominciamo a diventarlo nella misura in cui siamo sinceramente disposti a riconoscere gli ostacoli che impediscono alla nostra terra di portare frutto, a dichiararci i fallimenti e i desideri ancora incompiuti. Allora — solo allora — la nostra vita non scorre con naturalezza. Perché Dio riesce, finalmente, a costruire in noi la sua dimora. 


Commenti