IN FRETTA

Ferie prenatalizie – 21 dicembre
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda (Lc 1,39)

La fretta con cui Maria si muove per andare a trovare la cugina Elisabetta — dopo aver ascoltato e accolto l’annuncio dell’angelo — è certo il segno esteriore di un’intima gioia, ma più profondamente è la rivelazione di un amore grande che ha visitato per sempre la sua vita. Le parole del Cantico dei Cantici, che la liturgia porge oggi al nostro ascolto, testimoniano l’intensità amorosa dell’incontro che a Nazaret è avvenuto tra Dio e l’anima della sua umile ancella. 

«Àlzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto! [...] 
O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, 
nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, 
perché la tua voce è soave, il tuo viso è incantevole» (Ct 2,10.14)

Questo incontro di complicità e reciproca donazione spiega e fonda quell’atteggiamento di santa premura con cui Maria si precipita a casa della sua anziana parente, non tanto per mettersi a suo servizio, quanto per condividere la gioia di aver creduto a Dio e alla sua parola. La fretta di Maria è felicità incontenibile e contagiosa, per nulla imparentata con quella brutta agitazione che accompagna le nostre giornate, lasciandoci sempre un po’ vuoti e contratti.

Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.
Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo (Lc 1,40-41)

La fede nell’Incarnazione di Dio non vuole né allentare né esasperare la tensione con cui siamo chiamati ad affrontare il compito di diventare uomini e donne fino in fondo. Intende piuttosto regalarci un certo zelo e una attenta sollecitudine nel fare le cose di tutti i giorni. Credere alla promessa di Dio e alla sua presenza nella realtà determina una naturale premura che si esprime nell’accogliere e vivere le circostanze ordinarie, dove continuamente si consuma la nostra chiamata a esserci, con tutto ciò che siamo. 

Non importa che cosa dobbiamo fare: tenere in mano una scopa o una penna stilografica. 
Parlare o tacere, rammendare o fare una conferenza, curare un malato o battere a macchina. 
Tutto ciò non è che la scorza della realtà splendida, l’incontro dell'anima con Dio rinnovata ad ogni minuto, che ad ogni minuto si accresce in grazia, sempre più bella per il suo Dio. 
Suonano? Presto, andiamo ad aprire: è Dio che viene ad amarci. 
Un’informazione? ...eccola: è Dio che viene ad amarci. 
È l’ora di metterci a tavola? Andiamoci: è Dio che viene ad amarci.
Lasciamolo fare 

(M. Delbrêl, Noi delle strade)

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