GIUSTO COSÌ

IV Domenica di Avvento – Anno A
Negli ultimi giorni di Avvento fervono i preparativi, il tempo si affolla di ultime e penultime cose da fare. Cose che magari, poi, avremmo potuto fare anche prima, con più calma e più cuore. Pure la liturgia ci vuole preparare a «celebrare degnamente il gran giorno della nostra salvezza» (cf. preghiera dopo la comunione) presentandoci la semplice, immensa, straordinaria figura di Giuseppe «sposo» (Mt 1,19) della vergine Maria. La sua incredibile esperienza di vita ci dice come è «generato Gesù Cristo» (1,18) in questo mondo: attraverso l’ascolto della voce di Dio e l’obbedienza alla realtà, soprattutto quando appare scandalosamente assurda e incomprensibile. 
 
Incubo
Il mistero dell’incarnazione, il desiderio di Dio di essere con noi e come noi per sempre, è entrato nella vita di Giuseppe come un terremoto. Il matrimonio con Maria era già fissato e programmato. Il loro fidanzamento attendeva solo che giungesse il giorno della festa nuziale a cui faceva seguito la coabitazione nella stessa casa. In questo periodo di attesa, Dio sceglie di annunciare alla giovane Maria il suo disegno di salvezza, la quale «si trovò incinta per opera dello Spirito Santo» (1,18). Dietro queste parole — teologicamente ricche e posteriormente elaborate — si nasconde il dramma di una nuda e tragica realtà, che il buon Giuseppe è chiamato decifrare. La sua fidanzata è in gravidanza, ed egli è l’unico che sa di non essere corresponsabile di questo frutto d’amore prematuro. Possiamo solo immaginare quali notti insonni deve aver passato, agitato dal dubbio per l’incomprensibile avvenimento e, forse, anche dalla rabbia per non aver saputo custodire la sua promessa sposa. All’improvviso, la vita di questo semplice uomo diventa un enigma e un enorme peso da assumere. Questo lato oscuro della volontà di Dio è la parte che meno volentieri ciascuno di noi è disposto ad accettare e a vivere. Eppure, da quando il Signore ha deciso di giocarsi fino in fondo nell’esistenza umana, tutti facciamo conosciamo quei momenti pazzeschi in cui la scelta da compiere non è affatto semplice, né indolore. Giuseppe, essendo un uomo «giusto» (1,19), tenta un escamotage: senza accusare Maria pubblicamente — come di fatto invece prescriveva la Legge — decide di «ripudiarla in segreto» (1,19). Un’idea geniale, elegante, raffinata, piena di rispetto e di amore per Maria. E invece... E invece, no.

Sogno
Il Signore — attraverso il suo messaggero — entra nell’incubo di Giuseppe trasformandolo in sogno: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (1,20-21). La parola di Dio raggiunge la paura presente nel cuore di Giuseppe rivelandogli un grande mistero: dentro quell’inspiegabile ventre rigonfio di vita non si cela il segno di una maledizione o la conseguenza di un peccato, ma il compimento di ciò che Dio «aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità» (Rm 1,2-4). Giuseppe non poteva né immaginare né capire cosa Dio gli stava annunciando in quel momento. Poteva soltanto ascoltare e obbedire al suono di una verità più forte e più bella di ogni suo timore. La voce dell’angelo gli lasciava intuire che Dio non lo aveva abbandonato, ma gli aveva rivolto una singolare «chiamata», lo aveva «scelto per annunciare il vangelo di Dio» (1,1) attraverso l’accoglienza di un figlio non suo, ma in qualche modo generato dal suo cuore: «tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,21). L’intuizione avuta lungo la notte dello sconforto è sufficiente a Giuseppe per fuggire dalla paura, per correre da Maria e dirle che il Figlio venuto dal cielo era anche suo: «Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa» (1,24).

Realtà
La vicenda di Giuseppe — per quanto singolarissima — è il modello a cui è necessario guardare per diventare cristiani fino in fondo, per celebrare la logica del Natale. Per quanto tentiamo di  organizzarci e di mantenere le cose nell’alveo dell’ordine e della tranquillità, la realtà fuoriesce prima o poi da qualsiasi schema e aspettativa. Accadono cose che non avevamo messo in conto, situazioni difficili e penose — che mai avremmo immaginato di dover vivere — irrompono improvvisamente nella nostra casa. In queste circostanze, due strade si aprono davanti a noi: rimanere giusti, facendo soltanto quello che mette in pace la coscienza, oppure donarci all’imprevisto con amore e generosità, come ha fatto Giuseppe. Il Natale ci ricorda che la realtà è ormai pregna del dono di Dio, poiché il suo Figlio incarnato dimora pienamente nell’esperienza umana, soprattutto nelle sue latitudini più povere e abbandonate. Per questo ci è possibile “sposare” la nostra vita, prenderla con noi così com’è: con i suoi traguardi raggiunti e i suoi fallimenti, le sue luci e le sue ombre. Il male, certo, quello va respinto «con orrore» (Rm 12,9), come dice san Paolo. Ma, quando la storia ci porta lungo «sentieri sconosciuti» (Is 42,16), vale la pena mettersi in ascolto di quanto Dio è capace di annunciare al nostro cuore: «non temere»! Il regno di Dio entra nella realtà rompendo gli schemi e gli argini del nostro cuore, gettando nella storia un fermento di grazia, che ha solo bisogno di essere accolto e custodito. Siamo tante volte tentati di mollare, di «stancare» (Is 7,13) il Signore con le nostre paure, magari soltanto con quella sottile forma di adulterio che è la rinuncia a donarci pienamente. E invece possiamo imparare a riconoscere in tutte le cose il «segno» (Is 7,14) di una meravigliosa chiamata, fino a comprendere che quello che manca nella realtà possiamo aggiungerlo noi. Così è giusto fare, umilmente, con l’aiuto di Dio. Così «fu», così è «generato Gesù Cristo».

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