DISTANZA DI SALVEZZA

Lunedì — I settimana di Avvento
C’è una visione al principio dell’itinerario liturgico del tempo di Avvento. L’immagine di un monte alto ed elevato è ciò che siamo invitati a guardare per plasmare il nostro cuore verso un’attesa vigile del Signore che viene. Il monte, proprio in ragione della sua difficoltà di accesso, è simbolo di tutto ciò che nella vita può essere incontrato e raggiunto solo senza fretta e senza voracità. Anzi, accettando anzitutto una distanza che deve suscitare in noi rispetto e desiderio. 

«Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore
sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli
e ad esso affluiranno tutte le genti» (Is 2,1)

Difficile credere che nel futuro ci possa essere qualcosa di saldo e universale, di questi tempi. Eppure proprio qui si pone l’avventura della fede, nel prestare ascolto a cose inaudite, nel fidarsi di promesse che ci superano. Lo conferma il vangelo, dove Gesù e un centurione si trovano a coniugare con estrema naturalezza i verbi di moto utili — indispensabili — all’Avvento.

In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava 
e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente».
Gli disse: «Verrò e lo guarirò» (Mt 8,5-7)


Per andare incontro al Signore che — sempre — viene, la prima cosa che ci serve è abbandonare i sospetti e ritrovare rispetto e riverenza nei suoi confronti, ripristinare una certa “distanza di salvezza”. Talmente abituati a credere che Egli ci sia o che sia assente, a pregarlo distrattamente con la mente e senza il corpo. Così tragicamente scientifici e razionali “di fronte” a lui, anziché appassionati e intimi “in” lui, sciupiamo il tempo della preghiera nel vano tentativo di capire una vita che, come un seme chiamato a morire e germogliare, può solo farci intuire il brivido di eternità a cui siamo chiamati. Non può certo spiegarcela o mostrarcela. Per questo non serve altro per iniziare l’Avvento, se non un cuore disposto ancora a stupirsi. A sopportare il peso di quelle distanze presenti nella vita, a prima vista sempre inquietanti. Ma, in fondo, capaci di allargare lo spazio del nostro desiderio. 

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