(IN)UTILI PAROLE

Mercoledì – XXXII settimana del Tempo Ordinario
Se siamo sopravvissuti alla buona notizia di ieri — che sapersi riconoscere «servi inutili» è profonda libertà — possiamo accogliere bene anche l’audace approfondimento che ci regala il vangelo odierno. Un passaggio di Gesù in mezzo alla nostra umanità, ferita e bisognosa di salvezza, suscita quella preghiera sincera che non lascia mai indifferente il cuore di Dio.

Entrando (Gesù) in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza
e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!».
Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». 
E mentre essi andavano, furono purificati (Lc 17,12-14)

Accade proprio così quando la nostra voce — unita a quella di altri fratelli e sorelle — si leva al cielo per invocare aiuto. Scopriamo che il Signore non è sordo al nostro grido. Anzi, in modo estremamente naturale e repentino, la sua provvidenza ci soccorre, con parole e indicazioni capaci di restituire vigore ai nostri passi. E noi scopriamo cos’è e come funziona la grazia di Dio, quella invisibile ma concretissima forza che ci sorprende mentre siamo in viaggio per rilanciare la nostra vita in sempre nuovi cammini. Eppure, continua il vangelo, essere purificati nelle ferite non significa ancora essere salvi. 

Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 
e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? (17,15-17) 
Fino a quando la nostra preghiera si mantiene dentro i confini delle invocazioni collettive, grazie alle quali sin da piccoli impariamo ad avere fiducia nel Dio della vita, la nostra fede è solo potenzialmente un’esperienza di salvezza. Lo diventa quando la nostra relazione con il Signore — di cui la preghiera è limpido specchio — non si trattiene nella misura delle cose da dire o dei lamenti da manifestare, ma diventa rendimento di grazie. Solo quando la nostra preghiera diventa «inutile» — cioè svincolata da qualsiasi necessità — il nostro credere comincia a radicarsi sulla roccia della fedeltà di Dio e non sulla sabbia fragile dei nostri estemporanei bisogni, o dei nostri volubili sentimenti. E Dio ci appare bellissimo. Imparziale. 

«Il Signore dell’universo non guarderà in faccia a nessuno, non avrà riguardi per la grandezza, 

perché egli ha creato il piccolo e il grande e a tutti provvede in egual modo» (Sap 6,7)

Commenti