APPESI

Venerdì – XXXIII settimana del Tempo Ordinario
Il gesto forte, lontano da equivoci, che Gesù compie nel tempio è uno splendido e drammatico avvio alla meditazione di oggi. Osservando come il luogo dove il popolo vive la sua relazione comunitaria e personale con Dio sia divenuto un emporio religioso, il Maestro non esita neanche per un attimo a fare un gesto profetico capace di denunciare la profonda ambiguità che dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti. E invece non sembra affatto esserlo.

In quel tempo, Gesù, entrato nel tempio, si mise a scacciare quelli che vendevano, dicendo loro:
«Sta scritto: “La mia casa sarà casa di preghiera”. 
Voi invece ne avete fatto un covo di ladri (Lc 19,45-46)

Purtroppo questa pericolosa trasformazione può accadere facilmente a ogni credente, a chiunque si rivolge a Dio per orientare il suo cammino. Facciamo della preghiera — e dei luoghi a essa deputati — un luogo di mercato ogni volta che, partendo dalla lodevole intenzione di onorare e ascoltare la voce di Dio, finiamo col servirci di lui per giustificare i nostri interessi. Anziché restare nei termini di una relazione di ascolto e di libera obbedienza, cadiamo nel rischio di manipolare Dio quando tentiamo di piegarlo a noi con smancerie e gesti ammiccanti. Proprio come facciamo molto spesso con gli altri, per paura della solitudine o   della sofferenza. Invece che guardare in faccia la realtà e decidere di purificare il tempio della nostra anima, come Giuda e i suoi fratelli non esitano a fare.

«Ecco, sono stati sconfitti i nostri nemici: 
andiamo a purificare il santuario e a riconsacrarlo» (1Mac 4,36)

Siamo sempre tentati di vivere i rapporti — anche quello con Dio — a metà, fino a un certo punto, ben al riparo dal rischio di consegnarci all’incontro con l’altro senza riserve. Pur sapendo — in fondo al cuore — che altre strade in fondo non esistono, se non vogliamo scendere a compromessi. Con noi stessi prima che con il Signore. Questa profonda nostalgia di verità, (con)ficcata dentro il nostro petto è, spesso, l’unica nostra salvezza. La sola forza per restare appesi alle labbra del Signore, anziché sospesi nelle infinite tentazioni di superficialità.

I capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo morire e così anche i capi del popolo;
ma non sapevano che cosa fare, 
perché tutto il popolo pendeva dalle sue labbra nell’ascoltarlo (Lc 19,47-48)

Commenti

Emanuele ha detto…
Grazie