ACCORDARSI

Venerdì – XXIX settimana del Tempo Ordinario
Onde evitare fraintendimenti, il Signore Gesù affronta subito l’argomento apparentemente di segno opposto a quello preso di mira nel vangelo di ieri. Dall’inevitabilità dello scontro (nell’incontro) con l’altro, si passa alla necessità dell’accordo mentre si fa insieme il cammino della vita.  

«Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada 
cerca di trovare un accorto con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice 
e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti i prigione» (Lc 12,58)

Al di là del sapore giuridico che avvertiamo forse inopportuno o lontano, in queste parole possiamo riconoscere una certa dose di realismo, che mai manca al modo con cui il Signore Gesù guarda e coglie la vita nella prospettiva del regno dei cieli. Se anche non avessimo sulla scrivania un avviso di garanzia, dobbiamo ammettere che qualche «avversario» sempre sta nei nostri paraggi. Questa circostanza — così ordinaria — in cui gli avversari camminano lungo la stessa strada, è visto dal Maestro come un’occasione per imparare ad avere occhi nuovi e cuori disposti al perdono, prima che il prezzo da pagare diventi (sempre) più alto. 

«Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo» (12,59)

Certo, non ci sarebbe bisogno di giudici e tribunali se ciascuno di noi, nel duplice ruolo di vittima e carnefice, fosse disposto a riconoscere che il primo avversario con cui ogni giorno dobbiamo fare i conti — e che conti — sta dentro, e non fuori, di noi. Nella sua sofferta, ma appassionata, conversione al vangelo, san Paolo è diventato testimone di quanto combattimento sia necessario per non piegare le ginocchia al male, anche dopo aver scoperto la forza della grazia di Dio. 

«Fratelli, io so che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene: 
in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; 
infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio» (Rm 7,18-20)

Chissà perché siamo così tanto restii a riconoscere che le cose stanno proprio così, che il nostro cuore assomiglia più a un campo di battaglia che a un pacificato universo di placidi e luminosi sentimenti. Chissà perché anche noi — come già le folle attorno a Gesù — non riusciamo a dare il giusto nome al tempo della nostra esistenza. 

«Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; 
come mai questo tempo non sapete valutarlo?» (Lc 12,56)

San Paolo, da parte sua, non ha nessun timore a riconoscere che il tempo del combattimento interiore non è un motivo per sentirsi — o peggio ancora giudicarsi — lontani dal Signore. Anzi, è l’occasione favorevole per accordarsi con lui, consegnandogli la nostra distanza e il nostro bisogno di salvezza. 

«Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?

Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!» (Rm 7,24-25)

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