PAZIENTARE

Sabato – XVI settimana del Tempo Ordinario

La parabola della zizzania è un potente invito a saper pazientare in tutti quei momenti della vita nei quali l’evidenza del male arriva ad accecare i nostri occhi, agitando gli equilibri del nostro cuore. L’insegnamento del Signore Gesù a riguardo sembra abbastanza nitido. Quando la terra è stata seminata a grano buono e comincia a portare frutto, non bisogna allarmarsi se e quando vediamo spuntare accanto al bene anche la zizzania del male. È opera di un altro, di un nemico, a cui non dobbiamo accordare eccessiva importanza. Cercare di estirparla immediatamente sarebbe un grave errore. 

«Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura
dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla;
il grano invece riponetelo nel mio granaio» (Mt 13,30)

Il discorso parabolico, con la sua ricchezza di immagini e di sfumature, non mira a formulare risposte precise, ma a favorire la ricerca e l’elaborazione personale nel cuore di chi ascolta e si lascia interrogare. L’immagine del campo con il grano e la zizzania non intende né banalizzare, né enfatizzare l’evidenza del male, ma vuole ricondurla entro i suoi giusti confini. Infatti il mistero del male, più che essere spiegato e compreso, ha solo (!) bisogno di essere avvolto e sconfitto dalla paziente forza del bene. Il discepolo di Cristo deve imparare a combatterlo con pazienza, con le armi giuste, senza mai farsi dettare il ritmo dalla paura che non di rado diventa aggressività e violenza. La solenne risposta con cui il popolo di Israele risponde al dono della Legge ricevuta e trasmessa da Mosè approfondisce questo insegnamento. 

Mosè prese il libro dell’alleanza e lo lesse alla presenza del popolo.
Dissero: «Quanto il Signore ha detto noi lo faremo e lo ascolteremo» (Es 24,7)

L’ordine dei verbi non risponde a criteri di logica o di efficienza. È espressione di una misteriosa sapienza che Israele ha appresso nell’ostile terra del deserto. Le parole del Signore non vanno prima capite e poi eseguite. Al contrario, essendo incaricate di portarci dentro (noi stessi) e altrove (in Dio), esse vanno ascoltate mentre le mettiamo in pratica. Questo è l’unico modo di crederle veramente: farle quando ancora il loro senso — quindi la loro garanzia di verità — ci rimane parzialmente oscura. Farle senza averle (ancora) capite. Per sperimentare la gioia dell’affidamento. E con pazienza, imparare a volare verso le promesse di Dio. 

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