INDETERMINATI

Mercoledì – XVI settimana del Tempo Ordinario

La parola di Dio, oggi, non ci parla — né assicura — quei lavori di cui siamo tutti in affannosa ricerca o rimpianto, quei contratti a tempo indeterminato che ci risparmiano la fatica di dover cercare un nuovo impiego tra qualche mese. Annunciano un mistero di più gran respiro e — perché no — ben più utile alla nostra esperienza quotidiana. Gettato nel deserto per vivere l’avventura, e il compito, della libertà, il popolo di Israele rimpiange in fretta le garanzie e il tempo della schiavitù.

«Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti 
presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto 
per far morire di fame tutta questa moltitudine» (Es 16,3)

Il libro dell’Esodo riserva una sorpresa per questa infelice attitudine, raccontando come una solenne mormorazione possa non andare necessariamente incontro alla rabbia del Signore, ma suscitare persino una sua premurosa risposta. Non determinata dai nostri ricatti, ma dai suoi disegni di giustizia e di amore. 

Allora il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi:
il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno,
perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge» (16,4)

Mentre nutre la fame del popolo, il Signore non si lascia sfuggire l’occasione di mettere alla prova la sua fede. È, in qualche modo, la stessa scelta che il Maestro Gesù compie quando inizia a parlare in parabole, nel vangelo di Matteo. Dopo il grande discorso della montagna (cc. 5-7), i primi segni (cc. 8-9), la prima onda missionaria (c. 10), le prime dispute e i primi rifiuti (cc. 11), l’annuncio del Regno sembra conoscere la difficoltà di radicarsi nella terra dell’umanità. Allora Gesù ricorre a un linguaggio che persegue il duplice obiettivo di illustrare e custodire il vangelo davanti alla libertà dei suoi ascoltatori. 

«[...] Un’altra parte cadde su terreno buono e diede il frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno.
Chi ha orecchi, ascolti» (Mt 13,8)

La storia dei diversi terreni che, con le loro difficoltà, ostacolano il maturare del seme, posti in contrapposizione al terreno buono che porta un frutto impensabile, ci dice quanto la maturazione della parola di Dio in noi sia un percorso difficile, che tuttavia giunge a una sorprendente fecondità. Di questa parabola facciamo fatica a custodire l’unità, ora facendo memoria solo dei limiti nei quali inciampiamo frequentemente — superficialità, emotività, idolatria — ora illudendoci con la sola speranza del riscatto finale. La voce di Dio non si lascia determinare né dalle nostre resistenze, né dalle nostre paure. Ci chiede di essere anzitutto un cuore che ascolta e comprende che, in questo mondo, non siamo solo viandanti in un deserto dove sopravvivere nutrendo la nostra fame. Siamo pure terra fertile, capace di portare il frutto che nutre la fame dei fratelli. 

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