LA PROVA DELL'AMORE

Martedì – VII settimana del Tempo Ordinario

Il modo in cui lo spirito muto si manifesta dentro di noi raramente assume le forme dell’epilessia, come quel giovane di cui ieri parlava il vangelo. Più ordinariamente, esso si traduce in un diffuso imbarazzo, che sperimentiamo quando la voce del Signore ci segnala l’abisso esistente tra i suoi pensieri e i nostri. Dopo aver annunciato la sua imminente passione, Gesù è costretto a verificare se i suoi discepoli stanno capendo su quale si sono liberamente incamminati.

Quando Gesù fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?».
Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 
(Mc 9,33-34)

Il silenzio spontaneo e immediato con cui i discepoli vengono fotografati dal vangelo segnala quante ambiguità possono rimanere in noi, pur dentro il sincero desiderio di seguire le orme del Signore. Mentre il cammino dietro al Maestro assume sempre più decisamente e chiaramente i tratti della croce — che è l’assunzione di tutte le conseguenze dell’amore — i discepoli si scoprono fortemente tentati di confidare nella gloria e nel potere, anziché nell’umiltà e nel servizio. Niente di nuovo né di strano, assicura la sapienza di Israele. 

Figlio, se ti presenti per servire il Signore, resta saldo nella giustizia e nel timore,
prepàrati alla tentazione. Abbi un cuore retto e sii costante, 
tendi l’orecchio e accogli parole sagge, non ti smarrire nel tempo della prova (Sir 2,1-2)

Non è il caso di scandalizzarsi quando, nella nostra avventura cristiana, scopriamo di avere ancora tante passioni grette e mondane, veri e propri nascondigli di ambizioni fasulle e rapaci, che muovono i nostri passi. Ma non dobbiamo nemmeno temere di combattere per contestare quella parte del nostro cuore ancora figlio di egoismo e menzogna. Soprattutto  dobbiamo lasciarci ammaestrare pazientemente dal Signore il quale, mai stanco delle nostre lentezze, ci annuncia per quali desideri vale la pena vivere e, anche, morire. Quelli in cui non c’è altro da fare, se non allargare le braccia. In segno di amore, accoglienza, resa. 

E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro:
«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me;
e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato» (9,36-37)

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